NOI SIAMO
QUELLI CHE...

Pensano che le informazioni sullo stato di salute delle persone e delle comunità, sulle malattie e gli infortuni, sulle cause di entrambi...costituiscano una premessa indispensabile per fare prevenzione;
Offrono alle istituzioni, ai corpi intermedi della società...valutazioni, proposte, azioni di informazione e formazione con l'intento di partecipare...;
Non hanno conflitti di interesse...per cui sono liberi di dire ciò che pensano
Comunicano in modo trasparente...
Non hanno tra gli obiettivi prioritari la difesa di categorie o di singole figure professionali...
Cercano un continuo confronto con le altre Società scientifiche che operano nel mondo della prevenzione...
Non hanno mai smesso di credere nella necessità di un sistema pubblico di prevenzione diffuso in tutto il paese, in grado di garantire il diritto alla salute e di contrastare le diseguaglianze.
Pensano che la solidarietà e la partecipazione siano ancora valori indispensabili.

Non solo Sitnam Singh

Condividi con:

Facebook
Twitter
WhatsApp
Email
Stampa

Tempo di lettura: 3 minuti

Tempo di lettura: 3 minuti

Riportiamo di seguito, il testo con il quale, in occasione della morte di Sitnam Singh, Massimo Arvati ha voluto ricordare la vicenda di un altro bracciante agricolo indiano, Vijay Kumar, anche lui abbandonato sul ciglio di una strada dopo un grave malore da caldo nei campi e morto per la mancanza di soccorso. Succedeva a Viadana (MN) nel 2008. In allegato, la sentenza definitiva di condanna dei datori di lavoro responsabili.

Allo stesso modo, questi casi terribili ci devono però aiutare a far luce sugli innumerevoli altri “braccianti agricoli” vittime di infortuni per gran parte sconosciuti e nascosti ma anche sulle grandi sofferenze che comunemente vivono a causa di condizioni di lavoro disumane (e non solo di lavoro).

A questo proposito, vogliamo segnalare consigliare la lettura dell’editoriale di Diario prevenzione del 20 giugno scorso dal titolo: : ”Trattano i lavoratori agricoli immigrati come “vuoti a perdere”. Le grandi associazioni imprenditoriali del settore agricolo non hanno nulla da dire?”

 

Ho un nitido ricordo della forte emozione che ho provato 16 anni fa nel compiere, assieme a colleghi dello SPSAL dell’Asl di Mantova, un sopralluogo per la morte del lavoratore indiano Vijay Kumar presso l’azienda Agricola di Mario Costa a Salina di Viadana 35 km da Mantova, larga pianura ricca anche di produzione agricola di pomodori, meloni, angurie.

Vijay Kumar e altri connazionali lavoravano presso l’azienda agricola Mario Costa privi di permesso di soggiorno e/o di autorizzazione al lavoro, retribuiti in nero, con orari massacranti, senza riposo settimanale e sottopagati, fino al termine della stagione di raccolta dei meloni e comunque fino al mese di settembre, con la minaccia di non corrispondere loro la retribuzione per l’attività già svolta.

Il 27 giugno 2008 Kumar, assieme ai suoi compagni, inizia all’ alba il lavoro di raccolta meloni, angurie, zucche. La giornata era caratterizzata da una temperatura molto alta e forte umidità. Verso le 17,30 Kumar accusa un forte malore, il datore di lavoro viene subito avvertito, lo trasporta fuori dall’azienda e lo abbandona sul ciglio della strada.  I compagni privi di cellulari e mezzi di trasporto non riescono a chiamare i soccorsi e chiedono all’imprenditore di farlo, ricevendo un diniego.

I soccorsi vengono allertati circa 2 ore dopo, anche da un passante che vede il lavoratore agonizzante a terra. Il ritardo nella chiamata dei soccorsi è determinante nel causare il decesso del lavoratore.

 

Il Procuratore della Repubblica di Mantova Antonino Condorelli chiede ed ottiene il rinvio a giudizio dell’Imprenditore Agricolo e della moglie.

I 3

gradi di giudizio si svolgono presso il Tribunale di Mantova, la Corte d’appello di Brescia e la Corte di Cassazione di Milano.

Il datore di lavoro viene condannato definitivamente alla pena di anni 17 di reclusione in concorso con la moglie che viene condannata ad anni 9 e mesi 4 di reclusione. È una condanna molto pesante ed esemplare: molti reati sono stati commessi ad aggravare la situazione, ma alla base nel causare la morte del lavoratore c’è l’infortunio sul lavoro e in questo caso, diversamente da quanto avviene normalmente per gli infortuni mortali, i responsabili scontano la pena in carcere.

 

Durante il sopralluogo ricordo che l’imprenditore parlava di Vijay Kumar con un grande distacco, lontananza, senza dimostrare nessuna compassione, solidarietà, empatia verso il lavoratore deceduto e i suoi compagni sfruttati, come se quelle persone dalla pelle e dai capelli scuri, fossero altro rispetto a noi. L’ imprenditore ritrovava invece passione e calore nel parlare delle sue ‘tomate’ (pomodori in dialetto, per derivazione germanica) che dovevano essere raccolte in tempo utile dai lavoratori indiani per poter essere ritirate dall’industria conserviera.

 

Sono passati solo 16 anni dalla morte di Kumar, e dalla esemplare sentenza di condanna, molte cose sono cambiate.

Purtroppo, poco o nulla è cambiato in termini di prevenzione e la morte di Satnam Singh, lavoratore agricolo di origine indiana, causata da abbandono in esiti di ferita da infortunio sul lavoro, ne è la più vera testimonianza. Anche in questo caso il datore di lavoro, intervistato dal Tg1 Rai parla con tono distaccato del lavoratore come se in fondo se la sia cercata. Anche in questo caso il lavoratore è stato abbandonato a sé stesso e il ritardo dei soccorsi determinante per il decesso.

Ci sono imprenditori che considerano i lavoratori come strumenti di produzione al pari di macchine e attrezzature e non di persone.

Molte analogie tra le morti di Vijay Kumar e Satnam Singh, quest’ultima con una più forte rilevanza mediatica: che possa essere un aiuto nel processo che anteponga la sicurezza, la dignità al profitto.

 

Sentenza_caso_Vijay_Kumar.pdf

 

Massimo Arvati

ex Direttore del Dipartimento

di Prevenzione Asl di Mantova

Se lo desideri, sostienici con una donazione

ULTIMI ARTICOLI

RIMANI AGGIORNATO

Una risposta

  1. L’infortunio mortale di Sitnam è di una truculenza animalesca, inaudita. Solo in un ambiente con persone ben descritte da Arvati può nascere un fatto simile.
    È vero, come racconta Massimo, che non è il primo, e ricordo sindacalisti triveneti che raccontavano di infortunati sloveni o croati in cantiere trasportati a tutta velocità davanti ad un ospedale oltre confine.

    Ai ragionamenti che sento e leggo in questi giorni secondo me vanno aggiunte delle considerazioni sulla Politica (la legislazione sugli immigrati), la Grande Distribuzione e le Associazioni Imprenditoriali, altrimenti si rischia di avallare il ragionamento che punta a dare la responsabilità alla carenza di controlli (dell’ispettorato, dei Carabinieri, dell’Inail…; le ASL non si citano mai). Certamente servono. E servirebbe che fossero coordinati fra tutti gli Enti, e programmati secondo priorità, o portati sotto un unico centro di comando, ma qui mi fermo perché il tema è conosciuto e discusso da molto tempo.

    Ma io ritengo che si debba provare a creare un patto sociale con la parte sana dei grandi committenti e degli imprenditori per escludere chi utilizza il lavoro nero. Una specie di “minimo etico” anche per l’agricoltura, condiviso con sindacati, datori di lavoro e committenti/commercianti, volto ad escludere chi fa profitto utilizzando gli operai/schiavi e facendo in questo modo concorrenza sleale verso gli onesti.

    A quel punto sì, con il “consenso sociale” si potrebbero proporre pene più severe per chi durante le ispezioni risulta sotto il “minimo etico” (lavoratori in nero o con compensi indegni, condizioni di lavoro estreme ecc.) Per l’edilizia la pena era il sequestro del cantiere, in agricoltura per analogia può essere la sospensione dell’attività e la regolarizzazione della manodopera (quando possibile) o altro.

    Pur sapendo quanto il mio ragionamento sia di grande complessità e di difficilissima realizzazione per gli enormi interessi in gioco e la scarsa volontà politica di affrontare il fenomeno alla radice, per la tristezza e la rabbia che questa morte mi ha provocato mi sento di condividerlo.

    Flavio Coato, ex medico del lavoro SPISAL

Lascia un commento