nota a cura di Giorgio Di Leone
L’esperienza di un importante focolaio di COVID-19 sviluppatosi in Provincia di Bari nella primavera scorsa è stata uno stimolo di approfondimento collettivo a livello nazionale sugli stabilimenti di lavorazione carni, tanto più in quanto in coincidenza si verificavano importanti analoghi focolai in simili stabilimenti presenti nei diversi continenti. Sono noti gli ampi focolai verificatisi ad esempio in Germania, Brasile e negli Stati Uniti. La domanda fondamentale che si è posta chi ha studiato questi eventi è stata: “Come mai si verificano focolai di questa portata e con tanta frequenza proprio negli stabilimenti di lavorazione carne? Cosa ha di diverso questo processo lavorativo rispetto ad altre lavorazioni industriali, nelle quali il rischio di assembramento dei lavoratori è perlomeno simile?” Ne è derivato un confronto scientifico e tecnico che, partendo proprio dall’esperienza pugliese (sviluppata valorizzando una significativa sinergia tra servizi del dipartimento di prevenzione – Prevenzione e sicurezza negli Ambienti di lavoro, Igiene e Sanità Pubblica e Servizi Veterinari), ha coinvolto in primo luogo l’Istituto Superiore di Sanità , che funge da capofila, l’INAIL e il Coordinamento Tecnico delle Regioni e Province Autonome. Sono stati sviluppati strumenti di lavoro che sono confluiti in un Piano Mirato di Prevenzione su scala nazionale. Si tratta forse di una prima esperienza di un progetto elaborato con la metodica del Piano Mirato di Prevenzione che coinvolga più Regioni e più Enti.
A margine, rimangono un paio di considerazioni:
1. il Piano Mirato di Prevenzione è uno strumento operativo di sicuro successo, notoriamente nato in Lombardia, ormai diffuso da tanti anni in tutte le Regioni e Province Autonome. Nonostante sia stato presentato in molteplici contesti e a tutti i livelli istituzionali, si rimane amaramente “sorpresi” della piacevole “sorpresa” con la quale viene ogni volta accolto. Anche in occasione di questa esperienza (peraltro tuttora in corso con interessanti prospettive) sia l’Istituto Superiore di Sanità che lo stesso INAIL hanno espresso particolare interesse verso questo “nuovo” e “insolito” approccio, al punto dall’essere interessati ad una sua divulgazione al di fuori dei confini nazionali;
2. come operatori delle ASL abbiamo talvolta qualche remora nel confrontarci con entità quali l’Istituto Superiore di Sanità, ritenendole troppo votate alla ricerca pura e poco applicabili nel nostro mondo operativo. L’esperienza maturata con questo progetto dimostra invece un’ampia apertura e disponibilità da parte di questo Istituto (e dello stesso INAIL): un serio confronto su basi scientifiche e tecniche e su temi specifici di interesse collettivo è sempre possibile, con reciproco vantaggio.
L’invito è pertanto a non disdegnare ulteriori future iniziative, a patto che ci si voglia veramente mettere in gioco.