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Pensano che le informazioni sullo stato di salute delle persone e delle comunità, sulle malattie e gli infortuni, sulle cause di entrambi...costituiscano una premessa indispensabile per fare prevenzione;
Offrono alle istituzioni, ai corpi intermedi della società...valutazioni, proposte, azioni di informazione e formazione con l'intento di partecipare...;
Non hanno conflitti di interesse...per cui sono liberi di dire ciò che pensano
Comunicano in modo trasparente...
Non hanno tra gli obiettivi prioritari la difesa di categorie o di singole figure professionali...
Cercano un continuo confronto con le altre Società scientifiche che operano nel mondo della prevenzione...
Non hanno mai smesso di credere nella necessità di un sistema pubblico di prevenzione diffuso in tutto il paese, in grado di garantire il diritto alla salute e di contrastare le diseguaglianze.
Pensano che la solidarietà e la partecipazione siano ancora valori indispensabili.
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DL 146: le considerazioni della SNOP

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A cura del Direttivo Nazionale e dell’Ufficio di Presidenza SNOP.

 

A proposito del D.L. 146: considerazioni della Snop

Premettendo che andrebbe apprezzata l’attenzione mostrata dal Governo ad un tema su cui nella nostra storia non abbiamo mai smesso di tenere alta l’attenzione, e senza entrare qui nel merito delle parti del D.L. 146 che si occupano di altri aspetti del lavoro, intendiamo esprimere una posizione chiara a proposito delle scelte che lo stesso opera nell’ambito della sicurezza sul lavoro: le soluzioni adottate indicano e tracciano una direzione a nostro parere sbagliata per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Pensare che “più controlli” (ma quanti e dove e come?) si traduca automaticamente in una diminuzione degli infortuni è un assunto illusorio, non in grado di spostare sensibilmente i livelli d’insicurezza e quindi irrispettoso nei confronti degli stessi lavoratori ai quali si prospettano miglioramenti che rischiano di non ottenere.
Si è di fronte ad un Decreto Legge che introduce (o introdurrebbe, se rimanesse tale) formalmente un sovvertimento di enorme portata dell’impianto della prevenzione negli ambienti di lavoro. Un provvedimento che appare “affrettato”, confuso, giunto senza preparazione e senza discussione con le “parti in gioco”, e oltretutto assai poco applicabile nella realtà: a fronte dei problemi organizzativi creati negli scorsi decenni da controlli svolti da soggetti diversi, anziché semplificare, si risponde accentuando un sistema “duale” di vigilanza che tante dimostrazioni di difficoltà (pure accanto a qualche esempio positivo) ha avuto sul territorio in questi anni. Ed oggi si ampliano le aree in cui si verificherà la sovrapposizione!
Agli oggettivi deficit di coordinamento verificatisi a diversi livelli, tra cui quello centrale con importanza non secondaria, curiosamente si risponde addirittura sdoppiando talvolta il centro di coordinamento, rischiando (vista l’immediata entrata in vigore dei provvedimenti) confusioni se non addirittura la paralisi in un sistema già non privo di rilevanti criticità.
Non è dato di sapere se il Ministero della salute si sia espresso in qualche modo su un DL che interviene in maniera diretta rispetto ad una materia che è nelle sue competenze, facendo parte dei Livelli Essenziali di Assistenza e costituendo un capitolo non secondario del Piano Nazionale della Prevenzione.
Il provvedimento è stato inserito all’interno del decreto-legge “fiscale” grazie ad una motivazione d’urgenza, ossia la considerazione di una “emergenza infortuni sul lavoro” che si sarebbe avviata con la ripresa dopo le chiusure dovute al COVID. Non saremo di certo noi a negare che nel nostro Paese ci sia una questione “salute e sicurezza sul lavoro”: ma si tratta di una questione che non è di questi ultimi mesi e che non appare oggi più drammatica rispetto al passato, se non perché ogni anno che passa accumula occasioni perdute di prevenzione e ritardi che la rendono sempre più intollerabile anche nella coscienza collettiva.
Non è dato sapere quali siano stati i “dati” in base ai quali è stato deciso di intervenire, ma in base a quelli disponibili questa “nuova” emergenza non traspare. E’ stato dato risalto sugli organi di stampa (che spesso in passato li hanno ignorati) ad una drammatica sequenza di eventi mortali, ma i numeri oggi non ci permettono di distinguere – dopo il tragico bilancio COVID del 2019 – se la quota “non-COVID” sia davvero più preoccupante che in passato. Non risulta tra l’altro che sia stato fatto (o comunque non è stato reso noto) alcun ragionamento sulle tipologie di infortunio, sulle loro modalità di accadimento (ad esempio: l’incremento invero rilevante rispetto al 2020 avviene a carico degli infortuni sulla strada) e sui fattori
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determinanti o favorenti, informazioni che sarebbero fondamentali per mirare gli interventi correttivi. Tant’è che si è scelta una risposta “indifferenziata”, erroneamente ritenuta utile per tutte le occasioni, i casi, le tipologie.
Per restare sui “numeri”, nessuna evidenza è stata data agli aspetti di salute, alle malattie professionali, apparentemente quasi sparite nel 2020 (-26%) e lentamente ricomparse (?) nel corso di quest’anno. A solo titolo esemplificativo, il numero dei morti per tumori di origine professionale, stimabile in un range tra i 3.500 e gli oltre 10.000, supera comunque enormemente quello degli infortuni con esito mortale.
E’ possibile definire un provvedimento sulla sicurezza nel lavoro senza occuparsi delle salute? Ci pare veramente imbarazzante pensare di “risolvere” il tema dell’insicurezza con il prospettato potenziamento delle attività di controllo, svincolando questo aspetto dai problemi di salute e dall’organizzazione del lavoro nelle imprese. Il DL prende in esame solo l’aspetto infortunistico, come se questo esaurisse il problema della salute sul lavoro, e offre una risposta mirata agli infortuni come fosse risolutiva dell’intera e complessa questione; sceglie di adottare, tra le innumerevoli azioni necessarie a tutelare la salute sul lavoro, unicamente quella repressiva, dei controlli e della vigilanza, quasi fosse sufficiente e efficace in ogni caso, con un approccio quindi monodimensionale (quello dei controlli ispettivi) rispetto ad un fenomeno estremamente complesso e multifattoriale, dimenticando tutte le condizioni e situazioni (e il Covid ne ha fornito in questo senso un drammatico esempio) nelle quali non è la vigilanza l’intervento più efficace.
Viene poi data una risposta solo “quantitativa” ad un problema che ha bisogno, sì, di un numero adeguato di operatori e di risorse ma soprattutto di approcci qualitativamente appropriati: si definisce invece l’aumento (numerico) delle “unità di personale ispettivo” nell’INL e nell’Arma dei Carabinieri, senza alcun cenno alle competenze professionali necessarie e a quando queste potrebbero essere disponibili, a maggior ragione considerato l’enorme ed improvviso ampliamento dell’ambito delle competenze istituzionali.
Si tratta in sostanza di una soluzione anacronistica. La letteratura – compresa quella prodotta a livello UE e sottoscritta dal nostro Paese – è ricca di indicazioni su quali siano i fattori in grado di migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, e offre ampie dimostrazioni di quali azioni di vigilanza e controllo abbiano possibilità di successo: ma qui si torna basicamente a prefigurare azioni ispettive “purchessia”, quasi avessero un valore in sé, diretto o deterrente. Il controllo – soprattutto quale appare essere inteso nel DL – ha un ruolo sì irrinunciabile ma rilevante solo se mirato ed integrato in un continuum di azioni di diversa natura, di cui qui sembra invece potersi fare a meno. L’equazione “più controlli=più sicurezza”, così come l’opzione “command&control”, sono state smentite dalla storia e ancor meno si adattano alle attuali condizioni di lavoro, prevalentemente “de-organizzate”.
Se sfugge la diagnosi su cui si è basato il DL non è sorprendente che la “terapia” (appunto ciò che prevede il DL) sia così aleatoria. Tra l’altro senza tener conto non solo dei lavoratori ma anche delle stesse imprese, certamente “non favorevoli” all’ulteriore esasperazione del “doppio controllore/interlocutore”. E del resto, le stesse modalità di “potenziamento” della collaborazione/coordinamento tra INL e Servizi definite nel DL appaiono alquanto impalpabili e solo formali.
Si dovrebbe pensare che il nostro Paese, a partire dalle sue istituzioni governative, dimentichi (o abiuri?) la scelta del 1978, come se non fossero passati 40 anni dalla Legge di riforma sanitaria o fossero passati invano o si pensasse ad un errore di allora. Una scelta che non definiva solo il “chi” ma anche il “come” e gli obiettivi (di prevenzione). Il DL la prevenzione la ignora: la cita 9 volte come parte della denominazione di enti ma mai quale strumento di intervento!
Sembra che si parta da un “non detto” che è il presupposto fallimento del sistema attuale, a partire da quello delle Regioni e delle ASL, ritenuto non riformabile e gravato, come sostengono alcuni, da “orientamenti ispettivi troppo diversi tra loro” e da un’impossibilità di “coordinare tra loro le ASL a livello nazionale”. Un giudizio quindi negativo (o non del tutto positivo) su questi anni, anche se alcune voci autorevoli contrarie si
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sono levate e si stanno levando…. Eppure, in questi decenni sono state condotte iniziative ed esperienze di grande impegno con ottimi risultati, anche trasversali a gran parte delle regioni (basti pensare a piani di comparto come quelli sull’edilizia o sull’agricoltura, che in alcuni casi hanno anche visto collaborazioni “interforze”, coinvolgendo lo stesso sistema delle imprese). Esperienze e modelli di intervento certamente importanti ed efficaci, pur se non sempre diffuse: e poi, gradualmente, negli ultimi anni si è andata acuendo una difficoltà complessiva di far fronte ai nuovi bisogni del sistema produttivo italiano, in tumultuosa trasformazione, anche nell’ambito di un pesantissimo decurtamento delle risorse di personale.
Occorre comunque riconoscere che ci sono grandi problemi e criticità per entrambi i “sistemi”, delle Regioni-ASL e dell’INL.
Per il primo l’assenza di una regia nazionale, la nota disomogeneità che è relativa non solo al “come si espletano attività” ma anche al “se” si espletano: c’è chi fa/ha fatto e anche bene, e c’ è chi non fa/non ha fatto, spesso senza che non sia stato messo in atto alcunchè per contrastare questo andamento. Corrispettivamente si sono estesi, nel pieno silenzio, non solo il già accennato progressivo decurtamento di personale ma anche uno scarso investimento in rinnovo qualitativo delle capacità (accrescimento poli-disciplinare e formazione), da tempo necessario per far fronte ai profondi mutamenti nel mondo del lavoro.
Non sta a noi difendere un sistema delle Regioni che sembra oggi solo raccogliere quello che, nell’ambito della prevenzione SSL, ha seminato a seguito di disattenzione, mancato investimento materiale e culturale, incapacità di coordinamento tra centro e territori. L’attuale risveglio delle istituzioni regionali, che manifestano forte contrarietà rispetto al DL, appare frutto più di una (peraltro indubitabile) offesa istituzionale e costituzionale che della difesa convinta e motivata della propria visione e del proprio impegno, pregresso, attuale e futuro. La nostra stessa Associazione, riconoscendo ad uno ad uno i punti di forza (cui crediamo di aver contribuito) ma anche quelli di debolezza e criticità del sistema attuale, sottolinea da tempo i primi ma nel contempo ne denuncia i secondi.
Relativamente all’INL, molte sono le criticità note, e non a caso si pone fiducia oggi in un nuovo corso che sarebbe stato inaugurato con la nuova direzione dell’Ispettorato. In ogni modo, “depistarlo” da un giorno all’altro verso i compiti fin qui (e da 40 anni) affidati in assoluta prevalenza ai Servizi delle ASL (quindi al SSN), pur nell’ambito di una rilevante incremento di personale (ma – ripetiamo – solo quantitativo? e con quale articolazione di figure professionali?) implicherebbe da un lato un periodo non breve (almeno alcuni anni) di necessaria e difficile riappropriazione anche culturale di modalità di lavoro e d’intervento e dall’altro probabilmente il rischio di un ancor minore investimento nei confronti dei compiti che in questi decenni avrebbero dovuto essere e sono tuttora fondamentali, di controllo e prevenzione sulla regolarità del lavoro, che tuttora dovrebbero costituire in assoluto una delle priorità per l’intero paese, non solo per l’INL stesso. In proposito, è certamente meritevole la volontà insita nel DL di intervenire con decisione appunto in tema di contrasto del lavoro irregolare, che è alla base sia di condizioni di insicurezza e di perdita di salute ma anche di inammissibili disuguaglianze, ingiustizie, sfruttamento.
E non va comunque dimenticato, parlando di disomogeneità, che si tratta di un tema e di una criticità che nel nostro paese è trasversale a molti aspetti, certo non solo a quello della salute e sicurezza sul lavoro: una criticità che attiene ai diritti di tutti i cittadini, indipendentemente da dove vivano e dalle loro caratteristiche personali e che contribuisce a creare e mantenere intollerabili disuguaglianze.
Stupisce (?) la (apparente?) mancanza di riflessione sulle criticità e sui problemi che pone il mondo del lavoro oggi, tra i quali non va dimenticata anche l’esasperata frammentarietà con la prevalenza di microimprese, che dovrebbero comportare strategie del tutto innovative e che a maggior ragione dovrebbero porre proprio nel sistema delle imprese e negli organismi datoriali le principali responsabilità di autocontrollo.
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Le trasformazioni avvenute progressivamente nel mondo del lavoro impongono da tempo un rinnovamento culturale, professionale ed anche metodologico-strategico, del quale non si trovano tracce nel DL. Cosa significa (o dovrebbe significare) oggi … e domani… occuparsi della salute dei lavoratori (con i lavoratori e quindi nella partecipazione)? Occorre rinnovare, adeguare, mettere a punto organizzazione, strumenti, modalità, impegni, per una tutela efficace della salute e della sicurezza dei lavoratori. E’ certamente necessario un ripensamento e un nuovo disegno del sistema pubblico di prevenzione in tema di SSL, che parta proprio dalle numerose deficienze presenti ai vari livelli di responsabilità.
Non ci pare proprio, come già detto, che esistessero condizioni di urgenza tali da eludere il processo di coinvolgimento e collaborazione delle parti interessate negando l’indispensabile partecipazione all’elaborazione di una “modifica” così rilevante. Si può ovviamente sperare che quella del DL 146 non sia l’unica risposta del Governo alle necessità di riforma del sistema di prevenzione. Pur non dimenticando la delusione e l’imbarazzo per lo “strappo” operato nell’ordinamento giuridico vigente, e soprattutto la cesura che si è voluto tracciare nella storia e nell’organizzazione della prevenzione SSL in Italia, riteniamo che occorra soprattutto concentrarsi sull’obiettivo della salute e sicurezza dei lavoratori, in qualche modo accettando la sfida introdotta con il DL, del quale naturalmente auspichiamo una profonda e partecipata revisione prima della conversione in legge, e delineando un nuovo quadro che non distrugga quanto fatto fin qui ma – analizzandone i difetti e le criticità – consenta effettivi miglioramenti delle tutele. In questo senso, riteniamo si debba partire da:
– la conferma del ruolo del Servizio sanitario nazionale, nella consapevolezza della mancanza di confini tra la salute del lavoratore e quella del cittadino;
– il rilancio dell’integrazione, attraverso il Dipartimento di Prevenzione, della prevenzione e tutela della salute di tutti i cittadini con quelle dei lavoratori in un approccio “one health” e conseguentemente la titolarità della vigilanza della salute e sicurezza sul lavoro perché inserita nel complesso inscindibile degli strumenti di prevenzione;
– la definizione attenta e sostanziale di un impegno congiunto e coordinato di ASL e INL, in cui ciascuno si occupi delle attività sulle quali ha reali competenze, con le risorse quali-quantitative necessarie, adottando metodi di lavoro aggiornati e appropriati alle condizioni odierne e future del lavoro;
– la messa in opera di un percorso che porti gradualmente alla costruzione di un sistema efficace, quale non è stato negli ultimi decenni, basato su:
▪ l’adozione di una regia e un coordinamento centrali che, pur nel rispetto dei ruoli regionali, consenta di superare disparità, inefficienze o ritardi; ciò dovrebbe trovare sede nel comitato ex art. 5 previsto dal D.Lgs. 81/08, modificandone però sostanzialmente il ruolo finora assai poco sostanziale, eventualmente corredandolo di una capacità tecnico-scientifica utile per dar seguito ai compiti di indirizzo, coordinamento ed anche di sorveglianza sulle inadeguatezze eventualmente esistenti a livello territoriale. E’ ovviamente necessario che nella cabina di regia si esplichi un ruolo attivo e collaborativo dei principali ministeri interessati, in particolare quello del Lavoro e quello della Salute, quest’ultimo da tempo prevalentemente silente nonostante le competenze che gli derivano a partire dalla legge 833/’78;
▪ un utilizzo coordinato e mirato dei due Istituti superiori presenti al centro, l’INAIL (con all’interno le funzioni precedentemente svolte da parte dell’ex ISPESL) e l’ISS, finora relativamente poco presente sulla materia della salute e sicurezza del lavoro;
▪ la regia sopra indicata dovrebbe funzionare in articolazione e collaborazione stabili e non sporadiche con una rappresentanza delle Regioni, anche al fine di superare le reciproche difficoltà comunicative e di rapporto;
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▪ la cabina di regia dovrebbe avere un rapporto collaborativo (e non solo formalmente consultivo) con le rappresentanze sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
▪ dovrebbe essere garantito un sistema corrente di verifica dei risultati ottenuti, “pesando” l’efficacia del sistema non solo su numeri di attività ma – tramite opportuni indicatori – sulla reale efficacia degli interventi e delle azioni attuate (attraverso la ridefinizione e l’adeguamento dei LEA);
▪ su tali basi dovrebbe essere finalmente attivata la realizzazione di una efficace strategia nazionale di prevenzione, il più possibile partecipata e fondata sui due fondamentali pilastri di un adeguato sistema informativo e sulla pianificazione e programmazione delle iniziative ed attività necessarie.
A tal riguardo, evidenziamo la necessità di sfruttare appieno le opportunità offerte dal Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, tra i cui elementi fondanti, trasversali a tutti i suoi Progetti Predefiniti e oggetto di azioni specificamente definite, compaiono due concetti-chiave: “partecipazione” ed “equità”. Senza che tanto l’uno quanto l’altro si traducano in pratica non andremo oltre la crisi attuale, legata alla “sindemia da SARS-CoV-2” ma che attraversa profondamente tutti gli aspetti della sicurezza e della salute dei lavoratori e dei cittadini, così come la qualità delle relazioni sociali e dell’ambiente in cui viviamo.

 

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2 risposte

  1. Carissima Presidente Anna Maria,
    questo decreto 146 che ormai, forse, è stato già convertito in legge rappresenta la logica conclusione di un percorso politico di contrasto alla logica innovatrice della Riforma Sanitaria del 1978, che dura ormai da oltre 40 anni. Devo dire che in questi 40 anni sono state purtroppo ricorrenti le fasi in cui, a seguito di incidenti e morti sul lavoro “più o meno clamorosi”, la politica si è costernata ma non si è mai ravveduta. In tutte queste crisi la risposta è stata sempre la stessa: “profondo sdegno”, clamore mediatico, informazione pressappochista su chi deve rispondere politicamente della sicurezza e della salute dei lavoratori, la solita giornata di sciopero sindacale asfittica senza una strategia e con la solita richiesta di maggiori controlli e a volte di maggiori risorse.
    Se qualcuno della Presidenza di questa onorata Società viene ancora chiamato in qualche tavolo istituzionale per parlare di sicurezza, prevenzione e tutela sul lavoro, deve sostenere con grande determinazione che il fenomeno infortunistico si annida tra le maglie organizzative del modello di produzione generale del Sistema Impresa e specifico di ciascuna Azienda. Il fenomeno infortunistico non verrà mai scalfito se non cambierà il Modo di Produzione. Tantomeno pensando che ci vogliono solo più tecnici di formazione solo giuridica, piuttosto che di tecnici esperti di macchine e impianti, di sistemi di protezione e prevenzione e sui sistemi organizzativi aziendali. Potranno mettere tutto l’esercito di Figliuolo a fare ispezioni, ma la sicurezza in azienda durerà il tempo tra una prima ispezione e la sua verifica; dopo questa si tornerà all’insicurezza quo ante. Oltre al numero degli operatori e dei sopralluoghi (Ispezioni se preferite) conta la Qualità delle competenze tecniche degli uni e l’efficacia dei secondi. Purtroppo qui qualcuno di noi che ci ha rappresentato nella Conferenza Stato Regioni, quando si è trattato di discutere sui LEA e sugli indicatori, ha portato a casa solo ed unicamente Indicatori di Quantità.
    Direi che la china che si è presa non lascia ben sperare nemmeno per sostenere: poche ispezioni ma fatte bene; l’obiettivo non dovrà essere quante ne fai ma per quanti mesi il tuo intervento è ancora efficace.

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