NOI SIAMO
QUELLI CHE...

Pensano che le informazioni sullo stato di salute delle persone e delle comunità, sulle malattie e gli infortuni, sulle cause di entrambi...costituiscano una premessa indispensabile per fare prevenzione;
Offrono alle istituzioni, ai corpi intermedi della società...valutazioni, proposte, azioni di informazione e formazione con l'intento di partecipare...;
Non hanno conflitti di interesse...per cui sono liberi di dire ciò che pensano
Comunicano in modo trasparente...
Non hanno tra gli obiettivi prioritari la difesa di categorie o di singole figure professionali...
Cercano un continuo confronto con le altre Società scientifiche che operano nel mondo della prevenzione...
Non hanno mai smesso di credere nella necessità di un sistema pubblico di prevenzione diffuso in tutto il paese, in grado di garantire il diritto alla salute e di contrastare le diseguaglianze.
Pensano che la solidarietà e la partecipazione siano ancora valori indispensabili.

Essere SNOP, oggi.

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Tempo di lettura: 15 minuti

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Se oggi siamo qui, io quale nuovo presidente e il nuovo direttivo, a ragionare su nuove prospettive e linee di lavoro di SNOP, lo dobbiamo anche a chi ha saputo traghettare[1] SNOP durante un lungo periodo in cui molti dei tradizionali “ponti” erano inagibili, a causa della pandemia da SARS-Cov-2 ma anche di tutto quello che essa ha accelerato, di quello a cui si è sovrapposta o che di essa ha approfittato per deteriorarsi. Non era facile né scontato ottenerlo e di questo risultato dobbiamo dare atto a Presidenza e direttivo uscenti, ovviamente a partire da Anna Maria Di Giammarco.

Ma dire traghettare è riduttivo: perché non è stato solo un tenere in vita l’Associazione in un periodo molto complicato, ma farla procedere e crescere attorno ad una serie di temi che, marcati come mete all’inizio della presidenza, sempre più si sono imposti come ineludibili e urgenti.

Da qui ora ci è possibile proseguire.

In epoca COVID19 ci si diceva che ne saremmo usciti in ogni caso molto diversi da come eravamo. I conti a tutt’oggi non li sappiamo fare con chiarezza ma quello che appare è che le cose che pensavamo sarebbero cambiate in meglio sono decisamente meno di quelle attese mentre sono di più e forse differenti quelle che non ci aspettavamo peggiorassero. Il risultato è che oggi i tempi sono particolarmente bui in molti ambiti.

SNOP oggi è diversa, allo stesso modo in cui nessuno, quando le cose cambiano, può rimanere quello che era: chi rimane sempre uguale a sé stesso o è cieco o è uno stolto[2].  Oggi SNOP è diversa, non certo perché – ad esempio – lavora in buona parte online, ma perché la vita delle associazioni (anche quella di una piccola ma solida come la nostra), ha subito delle trasformazioni prima impensabili, con vantaggi e svantaggi, specie nel suo sistema di comunicazione e di relazione, interno ed esterno.

SNOP è diversa ma, allo stesso tempo e fortunatamente, è la stessa[3], perché il percorso è stato quello di cambiare non per diventare altro da sé, ma per crescere, fare i conti con il proprio tempo (”questo tempo sbandato”[4]) e provare a starci dentro con lo spirito e l’esperienza della sua storia, con la forza di idee e volontà ben radicate.

Molte cose nella nostra realtà non sono più quelle di prima e i cambiamenti sono cominciati ben prima della pandemia. Nemmeno i Servizi di prevenzione, da cui e attorno ai quali SNOP è nata e a cui è tuttora legata, sono più quelli di allora: sono anche altro (anche qui, nel bene e nel male) e gli stessi temi sul tappeto, in materia di tutela della salute dentro e fuori il lavoro, sono in parte diversi da allora. Il Servizio Sanitario Nazionale – che SNOP ha accompagnato praticamente dalla sua nascita, specie nella sua parte deputata alla tutela nel lavoro – è irriconoscibile oggi rispetto a ieri ma anche rispetto a quello che avevamo immaginato dovesse essere e diventare.

Il mondo del lavoro è cambiato e sta cambiando sempre più rapidamente e l’accelerazione dei cambiamenti costituisce un’ulteriore caratteristica di questi tempi. La salute sul lavoro assume conseguentemente altri e nuovi connotati che sembrano preludere a un futuro complicato per gli stessi strumenti di tutela. I fattori interni al sistema produttivo sono accompagnati da una sempre maggiore rilevanza di fattori esterni e questo si realizza in un contesto nel quale agiscono fattori più generali quali globalizzazione (non solo economica), cambiamento climatico, pandemie, guerre, innovazioni tecnologiche, transizione energetica, disuguaglianze sociali nuove o più esasperate … i cui effetti, oltretutto, accomunano sempre più le condizioni anche di salute dei cittadini, dentro e fuori il lavoro.

Persistono, peraltro, diverse patologie del sistema “produttivo”, dovute anche al fatto che l’impresa ha spesso ridotto il proprio senso unicamente a quello del profitto (e non lo è) e che il mercato induce una carente cura dei diritti e della dignità del lavoratore e del lavoro. I cambiamenti organizzativi e dei rapporti di lavoro determinano insicurezza, lavoro precario e povero che cambiano non solo la natura dei rischi ma più in generale l’impatto del lavoro sulla vita per una crescente fetta dei lavoratori e questi stessi fattori concorrono ad accrescere le disparità tra i cittadini. Anche le discusse prospettive di una riduzione del lavoro per effetto della tecnologia (leggi: IA) comporteranno, in ogni caso, un’accentuazione del divario tra diverse tipologie di lavoro, sia per contenuti che per natura di rapporti e aggraveranno le disuguaglianze.

Non sarebbe pensabile che, dentro un mondo così cambiato, SNOP rimanesse o volesse rimanere solo quello che era o che è stata. Facendo parte di un’associazione solida nella propria costituzione e nelle proprie convinzioni politiche attorno alla salute e alla prevenzione,  siamo consapevoli che applicare il nostro sguardo critico originario alle cose di oggi comporta anche acquisire nuovi strumenti, adottare anche altre categorie (di analisi, d’azione), occuparsi di contesti diversi, determinanti e sfide, pur senza mai rinunciare a denunciare e combattere tutto il “vecchio” che rimane e che caratterizza molto del nostro sistema produttivo, sociale, istituzionale, politico. Lavorare per contribuire a modificare o a costruire qualcosa di nuovo; questo, fa parte dell’essere SNOP, oggi.

Su alcuni di questi cardini poggiano le nostre idee di prevenzione nei luoghi di lavoro, tanto che non riusciamo a capire come queste (ma allo stesso modo quelle che, ad esempio, discendono dai Piani Nazionale di Prevenzione) possano trovare conciliazione dentro quel duplice sistema che la L. 215/21 ha delineato con il completo reintegro dell’INL o nelle risposte unicamente ispirate alla repressione che i più recenti provvedimenti legislativi offrono ai problemi di salute e sicurezza sul lavoro. Crediamo, invece, che solo un servizio pubblico che sappia integrare, accanto alle indispensabili funzioni di vigilanza (con il supporto alla Magistratura), quelle di informazione, di formazione e di assistenza verso i soggetti interessati, possa costituire un modello completo ed efficace di prevenzione.

 

Proprio alla SSL, ai Servizi pubblici di prevenzione e agli operatori di quei Servizi, SNOP ha dedicato la gran parte della propria storia e del proprio impegno, ma lo ha fatto non avendo mai distolto gli occhi da tutta la prevenzione ed anche oltre essa. È vero che è la salute di chi lavora ciò che costituisce ancora il core dell’impegno di SNOP anche se è sempre meno l’unico: quello che succede (e succederà) nei luoghi di lavoro e nel lavoro non consente la riduzione dell’impegno di idee e di risorse, considerando anche che i problemi “storici” in esso presenti sono ben lontani dall’essere risolti e che, anzi, si sono evoluti in una miscela intricata e complessa di vecchi e di nuovi (e futuri) rischi.

Proprio per questa sua storia, in buona parte, sì, dedicata ma non monolitica, in quest’oggi così complesso, SNOP si sente ancor più stretta dentro gli ambiti della sola SSL benché l’attenzione a tutto quanto gira attorno alla salute sia radicata da tempo in essa. Senza sminuire i numerosi altri momenti decisivi, tra i numerosi cippi miliari cosparsi nella sua storia che segnalano quest’anima, voglio ricordare quello che trovò traduzione nel numero della rivista del febbraio 2005, introdotto da un lucido editoriale di Alberto Baldasseroni dal titolo “Salute globale”, accompagnato da un intervento di Angelo Stefanini sul “Perché è necessario allargare i nostri orizzonti professionali”. Un allargamento che SNOP ha cercato e realizzato spesso proprio a partire dal lavoro che è quanto (ancora) modella una buona parte del nostro modo di vivere e che è, allo stesso tempo, una cartina al tornasole di quanto avviene nel nostro mondo. Vedere il mondo da dentro il lavoro a noi pare un punto di osservazione originale e rivelatore del suo complesso, ma soprattutto lo è applicare anche al “resto” quelle lenti che ci hanno sempre aiutato nel vedere chiaro dentro il lavoro.

 

Le condizioni di lavoro rimangono ancora uno dei fattori di rischio rilevanti e spesso irrisolti, non solo per la salute dei lavoratori ma anche per quella dei cittadini, nonostante le massicce trasformazioni del lavoro e dei suoi modi e, anzi, oggi anche a causa di esse. Che la salute occupazionale sia inoltre una leva per migliorare la salute della popolazione, risulta ancor più chiaro oggi quando risulta sempre meno possibile separare i problemi degli uni e degli altri, come la recente pandemia ha provato a mostrarci. Il lavoro è un primario determinante sociale di salute, tanto che le misure tese a ridurre le disuguaglianze di salute dei cittadini non possono non comprendere quelle volte a migliorare le condizioni di lavoro.

Nonostante una perdurante narrazione contraria, insistiamo a sottolineare che le questioni relative alla “salute” nel lavoro non sono minori rispetto a quelle della “sicurezza”, né per entità dei danni né per ampiezza e che salute e sicurezza sul lavoro sono un unicum indissolubile. Nel contesto che si sta creando e in quello che è previsto per il futuro, oltre al diritto al lavoro e ad un lavoro in salute, è infatti il benessere legato al lavoro – e non semplicemente le malattie o gli infortuni con il loro carico tuttora insopportabile o la loro assenza – l’aspetto su cui occorre centrare le strategie e le azioni di promozione e di prevenzione. È questo che permette di integrare la tutela del lavoratore dai rischi occupazionali tradizionali con quella rivolta a tutte le condizioni che incidono sulla sua salute, dentro e fuori il lavoro, ma anche con quella di tutta la popolazione, perché il benessere delle persone passa indifferentemente al di qua e al di là dell’orario di lavoro, portandosi dietro e integrando i determinanti presenti.

In questo sistema sono indubbiamente i fattori economici e produttivi, spesso considerati imprescindibili, quelli che maggiormente condizionano i rapporti e le modalità di lavoro, mentre sono più facilmente ignorate le motivazioni etiche e sociali, comprese quelle volte ad una migliore tutela della salute. Tutto questo va a scapito dei diritti dei lavoratori e di conseguenza della dignità del lavoro e delle tutele di salute ma sono quegli stessi fattori economici e produttivi che determinano, ugualmente, i nostri modi di vivere e di stare o non stare in salute, anche fuori del lavoro. La questione dei diritti sul lavoro non è diversa da quella che concerne quelli essenziali – e allo stesso modo minacciati – dei cittadini, non solo in termini di salute, e che sono fra le cause di disuguaglianze, a loro volta generatrici di arretramento nelle condizioni di salute.

A valle di queste riflessioni, restiamo insoddisfatti e preoccupati di come i temi della SSL vengono affrontati dalla politica, governativa e no, e dalle istituzioni, ma anche dalle stesse parti sociali, non esclusi i sindacati dei lavoratori, con i quali pure abbiamo esperienze storiche di condivisione e collaborazione su questa materia e un perdurante bisogno di dialogo.

Siamo convinti che, senza mai sottovalutare gli specifici rischi lavorativi né impropriamente omologarli a quelli generali, sia sempre meno opportuna e fuorviante una separazione concettuale della salute dei lavoratori da quella dei cittadini; sempre più le due entità dovrebbero essere viste e tutelate in una logica integrata, senza la quale si perderebbero molti elementi eziopatogenetici fondamentali e possibilità stesse di prevenzione. La separazione tra salute “sul lavoro” e “fuori del lavoro”, si fa via via più sfumata, non solo perché cresce la pressione di fattori extralavorativi ma anche perché è anche la separazione tra tempo di lavoro e tempo non lavorativo a farsi sempre più labile.  Ciò significa, da una parte, che non ci si può occupare di salute nel lavoro senza occuparsi di salute “ovunque” ma anche che non ci si può occupare di salute in generale senza occuparsi di salute sul lavoro. La vicenda della pandemia di questi anni ha mostrato con tutta evidenza queste indissolubili reciprocità.

In generale, crediamo che non abbia molto senso affrontare separatamente la salute a seconda della categoria dei determinanti in gioco, isolandoli gli uni dagli altri da quell’intreccio in cui necessariamente si presentano e agiscono e questo vale per la salute sul lavoro ma, altrettanto, per la sicurezza alimentare, per la nutrizione, per l’ambiente, per la sanità animale. È vero che la potente categoria di “one health” rischia di essere ridotta ad uno slogan di facile successo, ma l’approccio unitario alla salute, indifferentemente dall’origine dei determinanti (la “salute ovunque”, appunto), rimane uno strumento che promette di essere efficace a cui intendiamo di aderire convintamente.

 

Al di là del dovuto clamore che accompagna le progressive conquiste della medicina curativa, le ampie potenzialità di efficacia della prevenzione restano, invece e per buona parte, inespresse o sottovalutate. Una sottovalutazione che appare paradossale quando è ancora più evidente che la salute migliora o peggiora soprattutto per via di determinanti sociali o comunque non “sanitari”, che sono ben rappresentati proprio negli obiettivi della prevenzione piuttosto che in quelli dei restanti ambiti della sanità. La considerazione di cui la prevenzione gode nel nostro servizio sanitario nazionale/regionale è ben svelata dal trascurabile peso che le viene assegnato nella spesa sanitaria, oltretutto, spesso, più comodamente declinata sui soli stili personali di vita e con scarsa considerazione dei determinanti sociali. Se poi ragioniamo in termini di benessere effettivo, al di là delle sopravvivenze alle malattie e del mero prolungamento dell’età media della popolazione, si fa anzi più evidente il bisogno di politiche salutogeniche incentrate proprio su quei determinanti forti che sono socioeconomici, politici, commerciali ecc.

I determinanti della salute si dimostrano sempre più concatenati e interdipendenti gli uni dagli altri; questo rende evidenti gli errori di valutazione, le inefficienze e l’inefficacia di cui sono responsabili le barriere fra le discipline scientifiche che se ne occupano ma anche tra quelle e altri settori del sapere e dell’agire umano. Chi si occupa di salute pubblica e di prevenzione non può non considerare e trattare come ambiti di interesse fattori quali la crisi economica, le pandemie, il cambiamento climatico, l’ambiente, le trasformazioni del lavoro, la guerra ecc. in un susseguirsi di effetti additivi o moltiplicatori su disuguaglianze, crisi alimentari, siccità, eventi atmosferici disastrosi, migrazioni, riduzione delle risorse naturali ed energetiche. Non può, cioè, non occuparsi della loro dimensione politica[5].

 

Ferme restando le responsabilità nella prevenzione di tutti i soggetti interessati (dalle imprese produttive, al commercio, a chi eroga servizi … fino ai cittadini), le profonde e rapide trasformazioni in atto impongono un ripensamento di come conduciamo la prevenzione ad ogni livello, ma, in particolare, a livello pubblico, dove appare necessario un rinnovamento in strutture, organizzazioni e strumenti ed anche un rinforzo di quegli aspetti culturali ed etici oggi spesso dimenticati. Per la natura stessa della promozione della salute, significherà anche fare salute con meno “medicina” ma anche non solo con “prestazioni”: fare con il contributo di operatori sanitari preparati e motivati ma anche con professionisti non sanitari, ma soprattutto con più formazione ad ogni livello e più partecipazione – informata, consapevole – di tutti i soggetti interessati a partire dai cittadini, lavoratori e no.

Una prevenzione effettiva non può che essere condotta diffusamente dagli innumerevoli soggetti titolati ad aver cura delle persone negli ambiti di propria competenza (istituzioni scolastiche, comunitarie, scientifiche, culturali, enti locali, imprese, sindacato, associazioni varie, volontariato, professionisti …) e, senza il loro apporto, alle strutture pubbliche rimarrebbero strumenti insufficienti e di certo non risolvibili con la sola vigilanza. Queste strutture (oggi centrate sul Dipartimento di Prevenzione delle ASL) dovrebbero sviluppare piuttosto quel ruolo di regia, necessario a ricondurre ad unità e integrazione, l’effetto dei molteplici sforzi.

Chi si occupa di prevenzione e di sanità pubblica (intesa come la “public health” degli anglosassoni) deve essere un promotore/sostenitore della salute della popolazione, operare per la sua tutela e il suo miglioramento. Essendo impegnato nel trattare “le cause delle cause”, spesso – anche se non solo – con strumenti regolatori, di legge e fino a quelli di supporto dell’Autorità Giudiziaria, non può non essere implicato nei risvolti di azioni amministrative e politiche e confrontarsi (talora scontrarsi) con forti interessi politici, economici e commerciali. In questa attività, che è anche e indubbiamente “politica”, oltre a dover essere sorretto da chiare motivazioni etiche e sociali, necessita di indipendenza e autonomia, che sono anche il prerequisito per ottenere dai cittadini quella fiducia che è necessaria per operare a loro tutela.

Non è stata solo l’emergenza Covid ad aver svelato l’indebolimento a livello organizzativo e professionale, di risorse e di formazione delle strutture pubbliche di prevenzione, rispetto a quanto sarebbe invece necessario per far fronte ai grandi temi e alle sfide che si presentano in sanità pubblica. Eravamo già prima tra quelli che lamentavano quell’inadeguatezza del sostegno alla prevenzione dentro il nostro SSN e non solo (e forse neanche primariamente) in termini di risorse, che rischia di sperperare un patrimonio di competenze, professionalità ed esperienze originali che occupa un posto di rilievo anche a livello internazionale. Oggi i Servizi di prevenzione pubblica vivono, anche in questo in maniera tra loro disomogenea, condizioni di disagio e difficoltà che risalgono a questioni di riconoscimento, di investimento, di motivazione. I Servizi e i loro operatori non possono non risentire del venire meno del supporto della politica, della distrazione di fiducia non solo da parte di governi centrali o locali ma talvolta anche delle parti sociali, dello spostamento dell’asse di investimento e di impegno delle istituzioni, compreso quello del Ministero della Salute e del “sistema” Regioni ma persino quelli delle proprie Regioni e Aziende Sanitarie e del mancato coinvolgimento nelle scelte strategiche. Testimoniano di questo progressivo disinvestimento anche le più recenti e discusse disposizioni normative (fino all’ultima, sulla “patente a punti”).

 

Questo avviene, in un momento in cui proprio le sfide emergenti che stanno diventando quelle di maggiore impatto sulla salute collettiva richiederebbero, oltre ad una maggiore responsabilizzazione dei soggetti coinvolti e ad un potenziamento complessivo delle capacità di intervento, anche un adeguamento relativo alla impostazione della prevenzione che, specie nel sistema pubblico, rimane ancora legata a schemi e paradigmi del secolo scorso. Gli strumenti e l’organizzazione del Dipartimento di Prevenzione, che perpetua la suddivisione per area di competenza tra strutture storicamente autonome, rischiano di essere inadeguati a rispondere alle complesse sfide attuali della salute pubblica che superano e sfuggono a questioni di pure competenze disciplinari, professionali, istituzionali. Una riorganizzazione non potrebbe non toccare i singoli “Servizi” quali li conosciamo, ma certo nemmeno le discipline – oggi per lo più chiuse in quelle sanitarie – da cui essi in gran parte discendono.

Valorizzando appieno il capitale (professionale, di conoscenze, di strumenti, di strategie …politico?) che 40 anni di storia della prevenzione in Italia hanno costruito, occorre però riconsiderare la natura e l’entità delle risorse e delle dotazioni professionali delle strutture di prevenzione ma in stretta relazione al “per fare cosa”: superare la sola rincorsa delle “risorse che mancano” per inoltrarsi nel merito di quali risorse, di quali competenze (sanitarie ma anche non sanitarie) e ragionare su indicatori che permettano di prospettare standards di qualità che siano utili alla salute dei cittadini.

C’è anche un bisogno di aggiornare la formazione in tema di sanità pubblica del personale: forse si potrebbe pensare a una “scuola” di sanità pubblica che profili un grado comune oltre le scuole singole di igiene, medicina del lavoro, TPALL, AS ma anche di quelle professioni non sanitarie (chimici, fisici, ingegneri, agronomi ecc.) di cui la prevenzione non può più fare a meno.

Tutto questo perché rimaniamo convinti che è su questo sistema e non su un sistema di solo “controllo”

che si può proseguire la costruzione di una prevenzione pubblica capace, efficace e adeguata alle sfide presenti e future

Il drammatico intreccio dei potenti fattori globali, primo fra tutti quello del clima, ripropone l’urgenza di riportare al centro la questione ambiente-salute, superando trent’anni di interventi settoriali e scoordinati che hanno pagato soprattutto per la mancanza di una visione complessiva. Forse, come viene suggerito da più parti, si dovrebbe anche ampliare il concetto costituzionale di salute fino a comprendervi l’ambiente. C’è bisogno di riprendere il filo unico che lega ambiente e salute (e SNOP questo lo dice da molto tempo) prendendo atto dell’insufficienza dei tentativi succedutisi negli anni tesi a ricucire con rammendi estemporanei qua e là gli scollamenti, lasciando inalterati però il sistema e l’approccio.

Il cambiamento climatico deve essere in cima alle nostre preoccupazioni, perché rappresenta oggi la minaccia più diffusa – e ben al di là di quello che già oggi sta producendo – in grado di permeare ed aggravare diverse delle altre che caratterizzano il nostro tempo. Occuparsi di clima vuol dire occuparsi della salute dell’oggi, per saper affrontare quella di domani: la prevenzione ha oggi bisogno delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico per adeguare i propri strumenti e le proprie capacità di azione.

 

Non possiamo non occuparci e non preoccuparci di un Servizio (e non Sistema!) Sanitario Nazionale, che è sempre meno pubblico, sempre meno universale, meno egualitario oltre che meno gratuito: la sanità pubblica italiana attraversa una profonda crisi, che la pandemia ha esasperato ma che viene da lontano, che si accompagna al progressivo appannamento dell’idea stessa di salute che la 833 intendeva promuovere. La “mancata” prevenzione è frutto delle tante carenze ma anche dei tradimenti operati dalle varie controriforme e dei definanziamenti che si stanno ripercuotendo sulla salute collettiva, diritto fondamentale della Costituzione.

Il processo di aziendalizzazione, unito a quello della regionalizzazione del Servizio Sanitario, è l’elemento cui pare possibile far risalire diverse delle odierne degenerazioni, prima fra tutte quella della privatizzazione: la gestione di tipo aziendalistico appare aver portato via via ad un’alterazione degli stessi mandati della sanità pubblica e, unitamente ai problemi di finanziamento, aver deviato progressivamente il corso verso la privatizzazione. La L. 833 pensava ad una gestione democratica e partecipativa e non certo a quella verticistica e autoritaria che si è realizzata attorno al Direttore Generale e con lo svuotamento degli strumenti di reale partecipazione dei cittadini e che ha creato vieppiù distanza (anche fisica, ad es. con le macro ASL) tra i cittadini e i “loro” servizi sanitari.

Piuttosto che provare ad “aggiustare” qualcosa che non c’è più, appare doveroso cercare di costruire[6] qualcosa che valorizzi le esperienze migliori, riprendendo l’enfasi etica e propositiva sulla partecipazione, con il fine di cogliere le (pur non molte ma ostinatamente presenti) opportunità, più o meno strutturali, del presente.

La questione del finanziamento del SSN appare fondamentale, anche considerando che quella delle risorse è stata, in tutti i passaggi legislativi di questi anni, la giustificazione principale alle trasformazioni e la condizione prevalente per la definizione degli obiettivi prestazionali, tanto da condurre nel tempo ad una divaricazione tra fabbisogni reali di salute e (capacità di) risposta del sistema. Far apparire quello delle risorse al SSN un mero problema economico-finanziario è una mistificazione politica, che infatti non viene fatta valere quando le risorse (quelle alla salute come quelle alla formazione) vengono dirottate ad altri ambiti, siano essi armamenti o mega infrastrutture.

Appare decisivo analizzare le cause di questa mutazione dell’anima stessa del SSN, che appaiono storicamente riconoscibili negli interventi legislativi succedutisi nel tempo e che hanno avuto un ruolo determinante nel trasformare non solo gli aspetti organizzativi e gestionali delle USL ma anche nel modificare e depotenziare alcuni principi fondanti della L. 833. Con la convinzione che la sconsiderata evoluzione della regionalizzazione verso l’autonomia differenziata comporterà la fine del SSN e non solo.

Forse dovremmo guardare alla “833” non come a un modello assoluto a cui “tornare” ma piuttosto – andando oltre alcuni tabù che la circondano – a un modello da aggiornare, pur senza perdere i valori e obiettivi fondanti che la ispiravano. Se questo appare un azzardo in questi tempi così difficili, l’alternativa non può certo essere quella di rimanere a guardare inerti il progressivo smantellamento del SSN, pezzetto per pezzetto.

 

Viviamo anni di cambiamenti e, anche a causa di questi, di grandi incertezze che producono uno spaesamento generale a cui SNOP non è, consapevolmente, indenne: contiamo però di avere, nella nostra storia e nella nostra costituzione, strumenti e capacità per tentare di affrontarle. Non certo da soli ma con una serie di alleati, alcuni dei quali storici (in primis, le Associazioni con cui condividiamo la realtà della Consulta interassociativa per la prevenzione – CIIP) o comunque consolidati (es. AIE, SIMeVeP), altri di più recente collaborazione (es. #datibenecomune), qualcuno con rapporti da rinsaldare e altri da ricercare o curare. E, forse ancor prima che con questi, con tutti i soggetti che hanno voce in capitolo nei temi che ci stanno a cuore: lavoratori, RLS, cittadini, professionisti, sindacati, rappresentanti del mondo delle imprese o delle istituzioni.

 

La sfida che ci vogliamo dare è quella di continuare ad essere criticamente dentro la realtà della salute di chi lavora e dei cittadini, non solo come un’ideale sentinella, ma prendendo posizione, elaborando pensiero o diffondendo e sostenendo quello di altri ma anche producendo e stimolando azioni, sperimentazioni, coinvolgendo e facendoci coinvolgere, additando, accanto ai tanti difetti di quello che succede, anche le tante cose buone che nel variegato mondo della prevenzione ancora vengono realizzate, sostenendole. Vorremmo partire dalla nostra vocazione storica di essere riferimento per gli operatori dei Servizi di prevenzione (cui il nostro stesso Statuto ci prescrive “particolare attenzione” e cui intendiamo continuare a garantire supporto e stimolo), per guardare anche a tutto il mondo “buono” della prevenzione, al di là della sola SSL e del solo Servizio pubblico, ed occuparci di tutta la prevenzione e di tutti quelli che la fanno.

Contiamo di sapere dove andare, quale strada prendere[7] e con quali alleati.

 

 

Il Presidente

Graziano Maranelli

 

[1] ) Il traghetto a Venezia è il servizio di gondole che permette di attraversare il Canal Grande nei punti lontani dai ponti.

[2] ) Ad una persona del pubblico che in una conferenza gli aveva contestato di aver espresso un’idea diversa da quella di tempo prima, Keynes rispose: “Quando i fatti cambiano, se necessario io cambio parere. Lei invece cosa fa, Sir?”

[3] ) la citazione da “La canzone dei dodici mesi” di Francesco Guccini è puramente casuale.

[4] ) Ivano Fossati: “Una notte in Italia”, 1986

[5] ) Ho rinunciato fin qui a citazioni scientifiche, ma non riesco a non suggerire un richiamo a Rudolf Virchow (1821-1902) e alla sua concezione che la salute è politica.

[6]) un necessario riferimento alle opzioni “imbianchini” o “costruttori”, di cui abbiamo parlato – mutuandole dalla “provocazione“ di Ivan Cavicchi – nel seminario “La prevenzione nel SSN: riflessioni della SNOP sulle criticità” del 6 maggio 2023

[7]) Alice: “Vuoi dirmi di grazia che strada devo prendere?” “Dipende da dove vuoi andare.”  – rispose il Gatto.

“Mi è indifferente” – disse Alice. “Allora è indifferente anche prendere una strada piuttosto che un’altra” – sentenziò il Gatto. Da: Lewis Carroll “Alice nel Paese delle meraviglie” (1865)

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