Alla notevole attività scientifica, Paolo Vineis – professore ordinario di Epidemiologia Ambientale all’Imperial College di Londra – associa da diversi anni pubblicazioni sia destinate ad un pubblico più ampio, ancorché esperto, sia a carattere più speculativo-filosofico, pubblicazioni che sono sempre di grande stimolo ed interesse per chi si occupa di salute pubblica.
Dopo i recenti “Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica” (Einaudi 2020, con Carra e Cingolani), “Salute senza confini. Le epidemie della globalizzazione” (Codice, 2020) e “La salute del mondo. Ambiente, società, pandemie” (con Luca Savarino, Feltrinelli, 2021), l’estate scorsa, Vineis con Luca Carra – direttore di “Scienza in rete” – ha pubblicato “Il capitale biologico. Le conseguenze sulla salute delle diseguaglianze sociali” (Codice, agosto 2022).
Non c’è ovviamente libro di Vineis che non torni alla materia della prevenzione e ciascuno di quelli pubblicati ha offerto ed offre tuttora motivi di riflessione e discussione a chi opera nel campo della salute, ma anche in quello sociale e politico.
Alcuni dei temi trattati in quest’ultimo sembrano incrociare perfettamente una serie di riflessioni sulle quali anche SNOP è recentemente impegnata e offrono letture e prospettive di azione con le quali è necessario interloquire.
Il tema centrale del libro è dichiaratamente quello delle disuguaglianze sociali, di come esse agiscano sulla salute delle persone e di come si possa intervenire efficacemente ai fini di ridurne gli effetti sulla salute. Se l’argomento non è nuovo, nuove e innovative appaiono invece alcune recenti acquisizioni in termini di interferenza tra fattori individuali e fattori ambientali (epigenetici) ed, in particolare, ci paiono stimolanti alcuni approcci discussi.
“Il libro aiuta a farsi le domande giuste per individuare i meccanismi di generazione delle disuguaglianze di salute e le azioni che servono a contrastarli o a mitigarne l’effetto” come bene dice Giuseppe Costa nella bella e illuminante prefazione.
Questa, che rimane una raccomandazione di lettura e studio, non vuole essere una recensione né una presentazione complessiva del volume, quanto piuttosto vorrebbe provare a cogliere – tra i tanti altri che, ingiustamente, non saranno qui citati – alcuni degli elementi di interesse.
Predisposizione genetica ed epigenetica
In un’epoca di straordinario sviluppo delle conoscenze genetiche il rischio appare talvolta quello di appiattire semplicisticamente sul paradigma dell’eredità genetica le scienze che si occupano della ricerca delle cause di malattia. Le ricerche – quali quelle condotte anche da Vineis nell’ambito di “Esposoma e salute” del MRC Centre for Environmental Health e di quello UE di Lifepath – permettono oggi di dimostrare, non solo che l’insieme delle influenze genetiche ereditarie potrebbe spiegare non più del 10% delle differenze sulla salute e che “la lotteria dei geni influisce dunque relativamente poco sui destini sociali delle persone” ma che “ben più rilevanti sembrano essere i meccanismi epigenetici, ossia i meccanismi in virtù dei quali le circostanze ambientali e sociali sono in grado di modificare – tramite la metilazione e altri processi molecolari – il nostro stesso assetto genico”. Il corso della salute risulta essere modificato in misura ben maggiore dalla dimensione sociale delle persone lungo tutta la loro vita, ma spesso interagendo proprio con i fattori genetici. Da qui la lettura della “predisposizione genetica” non come variabile indipendente ma anch’essa soggetta e condizionata dall’ambiente, se intendiamo questo come l’insieme di tutto quello che sta fuori all’individuo e che su di esso agisce.
Visione longitudinale
Viene sostenuta la necessità di adottare una prospettiva “longitudinale” nello studio della interazione tra ambiente e individuo che riguarda l’intero corso della vita del singolo (ma ovviamente più che di singoli trattiamo qui di gruppi, comunità, “classi”, categorie di lavoratori …) anche se con particolare forza in certe parti della vita stessa, quali quelle precoci. I fenomeni di salute che osserviamo sono associati non tanto ad una singola e recente esposizione ma è piuttosto “una successione di esposizioni nel corso del tempo a costituire un complesso causale sufficiente”, obbligando a rivedere gli stessi criteri di riconoscimento della relazione causa-effetto in medicina che appaiono al contempo indeboliti e complicati, assumendo piuttosto un carattere probabilistico e multifattoriale. Allo stesso concetto di causa-effetto, in quest’ottica, dovremmo piuttosto sostituire quello della “rete (o meglio reti) di causazione”.
Questo modo di vedere ci permette inoltre di valutare lo stato di salute o di malattia quale risultato del complessivo “sovraccarico allostatico” qui inteso come “il prezzo pagato dal corpo per la continua attività di adattamento alle mutevoli condizioni ambientali”.
Un esempio è dato dall’invecchiamento, che appare quindi come “un fenomeno che inizia nell’infanzia e come un flusso in costante mutamento variabile a seconda delle classi sociali”, per cui affrontare il problema dell’invecchiamento della popolazione (anche quella lavorativa) richiede di agire fin dall’inizio della vita e di quella lavorativa.
Un approccio longitudinale che, ad esempio in ambito di salute occupazionale, riusciamo oggi più facilmente ad adottare nei confronti di malattie o condizioni di salute a cui riconosciamo tempi lunghi di causazione, quali i tumori, ma che rischia di sfuggirci invece nel caso di altre tipologie di malattie (tipicamente le malattie “da stress” o quelle da sovraccarico muscoloscheletrico), quasi fossimo affetti da una miopia tuttora condizionata dal criterio del “periodo di massima indennizzabilità” adottato da INAIL.
Se l’opportunità di “allungare” il campo di osservazione alla vita, lavorativa e non, appare piuttosto evidente soprattutto in ambito epidemiologico, riferendosi quindi a gruppi/comunità o classi, d’altra parte vale, per certi versi, anche per i singoli.
Il controllo sul proprio lavoro
Ripescandole dal cassetto dello stress lavoro-correlato in cui le abbiamo rinchiuse, offuscate dal successo del questionario omonimo, gli autori riprendono le teorie di Karasek e Theorell secondo cui la combinazione di alta domanda e basso controllo riesce a spiegare una parte importante della associazione tra durata della vita e posizione lavorativa e delle differenze di salute. Citando inoltre gli studi Whitehall e Marmot[1], gli autori osservano che “quello che uccide anzitempo non è tanto o non solo l’intensità del lavoro, ma la mancanza di controllo sul proprio lavoro, che poi si traduce in uno scarso controllo sulla propria vita”, suggerendo un altro legame non scontato tra lavoro e vita. L’indicazione che ne deriva è quella di allargare l’attenzione dal solo ambito lavorativo a tutta la vita sociale, trattando vita e lavoro come un continuum.
Questi legati al lavoro rappresentano, in più, aspetti che sarà opportuno indagare con attenzione nello studio dei profondi mutamenti che il lavoro sta subendo, con la spinta alla precarizzazione e all’automazione, ed in particolare in quelle forme che identifichiamo dentro dizioni quali platform economy o gig economy. A fronte del notevole progresso osservato in termini di tutela da rischi “tradizionali” sul lavoro, globalizzazione, automazione e nuove forme di lavoro si rendono responsabili, infatti, di una molteplicità di nuovi rischi ancora poco studiati che paiono legati agli effetti dell’impoverimento dei contenuti del lavoro, all’isolamento sociale, all’eterocontrollo da parte delle macchine, alla perdita di feedback, di scambi e di convivialità. In relazione a queste modalità di lavoro e riprendendo le osservazioni di Karasek e Theorell[2], gli autori suggeriscono la possibile insorgenza di “una sorta di distonia tra l’organizzazione della mente umana (plasmata dall’evoluzione) e l’attuale organizzazione del lavoro, almeno per la grande maggioranza delle persone”.
Determinanti prossimali e determinanti distali di salute
Carra e Vineis sottolineano i problemi di metodo e di efficacia che la ricerca sulla salute rivela quando tende a concentrarsi sui fattori di rischio piuttosto che sull’insieme del contesto di vita, adottando un approccio che si occupa prevalentemente di determinanti prossimali (vicini all’individuo, nello spazio e nel tempo, spesso legati a comportamenti individuali o all’ambiente immediato di vita) piuttosto che riferirsi invece ai determinanti distali, cioè a fattori che agiscono a livello della società anziché dell’individuo. Occorre invece passare dall’attenzione ai comportamenti individuali a quella delle “pratiche sociali” che modificano il profilo collettivo della salute. I due modi di affrontare il problema sono complementari e talora i confini tra di essi sono sfumati e devono essere messi in comunicazione: è chiaro però che concentrarsi solo sui determinanti prossimali ha implicazioni strategiche e politiche e di efficacia.
Il capitale biologico
“Capitale biologico” è il concetto che Carra e Vineis suggeriscono che sia opportuno affiancare a quelli di capitale economico, culturale e sociale (proposti dal sociologo Pierre Bourdieu) e che esprime il “bagaglio” biologico prodotto nelle persone dalle cumulative disuguaglianze sociali, culturali ed economiche e che lega nell’individuo biologia e biografia (cioè la sua storia). Gli autori connettono questi concetti a quello di “embodiment” – proposto dall’epidemiologa sociale Nancy Krieger – con il quale è descritta l’incorporazione biologica delle differenze sociali, quindi del sociale nel biologico, prospettando un interessante ponte tra scienze naturali e scienze sociali (“connettere società e biologia e quindi scienze umane e sociali e scienze della natura”). Considerare capitale biologico ed embodiment nell’insieme dei fattori permetterebbe di fornire elementi preziosi sia alla comprensione che al contrasto delle disuguaglianze.
Cosa fare
Benché si ammetta che sono ancora rare le prove di efficacia degli interventi di contrasto, tra i diversi possibili interventi che il libro prospetta (interventi redistributivi, compensativi, affrontare le disuguaglianze nelle prime fasi di vita, politiche di protezione del reddito, servizi sanitari universalistici ma “proporzionati”, azioni sul capitale sociale e culturale e formazione continua fino a progetti di finanziamento condizionato e al reddito universale di base) preme qui citare – come esempio limitato all’ambito lavorativo ma anche come possibile metro di giudizio rispetto alla situazione odierna italiana – alcune delle misure che sono riportate dallo studio Whitehall II (noto anche come Stress and Health study):
- Aumentare il coinvolgimento di tutti i dipendenti nelle decisioni aziendali;
- Assicurare un’organizzazione che permetta di aumentare l’autonomia e il senso di controllo dei dipendenti;
- Piuttosto che diminuire l’impegno lavorativo, aumentare ricompense e salari;
- Aumentare il supporto sociale fra i colleghi nei luoghi di lavoro;
- Rendere il lavoro più stabile e sicuro, essere trasparenti, ridurre i tempi di incertezza sul destino dei lavoratori;
- Contrastare la disoccupazione, prevedere ammortizzatori sociali;
- Disincentivare nei luoghi di lavoro il fumo e il consumo di alcol, favorire una dieta sana, incentivare l’esercizio fisico;
- Aumentare le competenze del personale prevedendo corsi di formazione;
- Coinvolgere il personale in iniziative di volontariato;
- Favorire il lavoro a casa, i permessi di maternità e paternità e orari flessibili
- Concedere ai dipendenti quando andare in pensione
- Facilitare lo sviluppo di interessi nel personale prima di andare in pensione …
Riprendo dal testo, infine, una citazione da Henry Burns, insigne professore di salute pubblica globale presso l’Università Strathclyde di Glasgow, che ben potrebbe giustificare lo sforzo compiuto da Carra e Vineis con questo libro: “Passare dalla comprensione delle malattie come fatti medici, molecolari, ai loro determinanti sociali ed economici è il primo passo per impostare azioni di riscatto”
12 aprile 2023 Graziano Maranelli
[1]) Michael Marmot: La salute disuguale. La sfida di un mondo ingiusto. Il Pensiero Scientifico, 2016
[2] ) Robert Karasek, Töres Theorell: Autonomia e salute sul lavoro. Stress, produttività e riorganizzazione del lavoro” Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2012)