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“Se non possiamo diventare più niente, non siamo più niente”

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Tempo di lettura: 6 minuti

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L’intervento di Leopoldo Magelli all’incontro “La tragedia di Gaza” del 26 settembre 2025 a San Lazzaro-Bologna

Non è una relazione organica la mia (ci sono gli altri relatori che lo faranno con ben più competenza), ma solo alcuni flash per riflettere e alcuni numeri per chiarire. Molti dei presenti conoscono molti dei numeri che presenterò, ma in ogni caso presentarli tutti insieme fornisce meglio la vera materialità della dimensione del dramma di Gaza.

Apro con la citazione di Isaac Asimov, ebreo, del 1948, per far vedere come fin dall’inizio un semplice scrittore di fantascienza avesse già capito tutto (ma i grandi scrittori classici di fantascienza sapevano vedere il futuro): “In realtà, non sono un sionista. Non credo che gli ebrei abbiano una sorta di diritto ancestrale a impossessarsi di una terra perché i loro antenati vivevano lì 1.900 anni fa … Ci stiamo costruendo un ghetto. Saremo circondati da decine di milioni di mussulmani che non perdoneranno mai, non dimenticheranno mai e non se ne andranno mai”.

Poi il primo numero: 2.000.000, ovvero 65.000 morti su circa 2.000.000 di Gazawi sono il 3,25% dell’intera popolazione, che paragonato alla popolazione italiana (circa 60.000.000) equivarrebbe a circa 2.000.000 morti, tanto per rendere materiale e tangibile il dato.  Occorre specificare che le cifre sulle persone morte si riferiscono alle morti accertate come conseguenza diretta delle azioni militari dell’IDF: mancano i dispersi (quanti sono ? qualche stima azzarda tra i 15.000 e i 20.000) e mancano le morti “normali” , ovvero per patologie non dipendenti da azioni belliche ma che per le condizioni in cui versa Gaza, le sue strutture sanitarie (si stima che il 70% delle strutture sanitarie sia stato distrutto, ma anche se fosse solo la metà sarebbe già troppo!), il suo corpo sanitario, non possono essere curate in modo adeguato. Quindi, tutte le cifre che incorniciano le dimensioni della tragedia vanno considerate come approssimate per difetto (a meno che non si voglia tenere conto della precisazione che sempre, con incredibile malignità, molti media fanno, ovvero che queste cifre sono fornite dal Ministero della Sanità di Gaza, che è controllato da Hamas).

Secondo un recente rapporto di SAVE THE CHILDREN, a settembre 2025 i bambini morti a Gaza sarebbero circa 20.000 (di cui 1.000 con età inferiore a un anno). Se credo nessuno possa giurare sulle cifre esatte, credo che l’ordine di grandezza sia comunque credibile …

Poi altri numeri: i dati forniti dall’IPC, ovvero la Classificazione integrata della Sicurezza Alimentare (strumento sviluppato nel 2004 dalla FAO e sostenuto dall’ONU) che nel suo recente rapporto su Gaza evidenzia i numeri della carestia, il livello di gravità più alto – su 5 livelli – di insicurezza alimentare. Le tre condizioni che devono verificarsi contemporaneamente per poter parlare di carestia sono: il 20% delle famiglie affronta una grave carenza di cibo, almeno il 30% dei bambini soffre di malnutrizione acuta e due persone su 10.000 muoiono ogni giorno per una denutrizione totale… si stima che un quarto della popolazione di Gaza viva questa condizione. Ed è una carestia interamente provocata dall’uomo.

Dei numeri interessanti e sconvolgenti li fornisce anche, sull’ultimo bollettino di EMERGENCY, un medico del S. Orsola di Bologna che opera a Gaza, il dr. Giorgio Monti:

  • “Solo il 10% della popolazione di Gaza ha accesso ad acqua pulita … le persone devono scegliere se bere, cucinare o lavarsi”
  • “1 persona su 5 presenta malattie legate alla cattiva igiene: scabbia, gastroenteriti, soprattutto nei bambini sotto i 2 anni”
  • “Qui il rischio di morire per acqua contaminata è 20 volte maggiore che per ferite da guerra”

Ora alcune brevi considerazioni sulla situazione sanitaria futura a Gaza (se ci sarà un futuro a Gaza per i Gazawi).  Non so come finirà a Gaza e quando finirà: quello che è certo è che, nel momento in cui sarà finita la situazione attuale ed il massacro in atto e ci saranno ancora i Gazawi a Gaza, si comincerà a porre il problema del futuro di Gaza. Prescindendo dal futuro politico, sappiamo tutti come, tra le diverse drammatiche situazioni economiche e sociali che esploderanno, ci sia, con un peso enorme, quella sanitaria. Gli ospedali sono stati polverizzati e ci vorranno qualche anno e molti fondi per ricostruirli; lo stesso vale per le attrezzature, tra le vittime ci sono centinaia di medici e infermieri, e qui ci vorranno molti anni per rimpiazzarli, e questo in tempi in cui si dovranno gestire centinaia o migliaia di amputati, di persone con altre lesioni invalidanti e deturpanti, di bambini (e non solo bambini) portatori di traumi psichici che non riusciamo nemmeno ad immaginare (e abbiamo paura ad usare la parola genocidio?).

Ma c’è un altro problema di cui ora quasi non di parla e che si porrà invece nei prossimi decenni come uno dei più critici: il problema dell’amianto. Il 1° maggio 2024 sul sito SWISSinfo.ch compaiono i dati del servizio ONU per la lotta contro le mine e gli ordigni inesplosi (UNMAS), che fanno riferimento ai territori palestinesi di Gaza: in questa striscia di circa 40 km di lunghezza da nord a sud vi sono 37 milioni di tonnellate di macerie (più che su tutta la linea del fronte in Ucraina, lunga quasi 1.000 km). Secondo Charles Mungo Birch, capo del succitato servizio, ci vorranno non meno di 14 anni per rimuoverle. Ma non è solo un problema di quantità, il problema è anche l’estrema pericolosità di queste macerie (sempre Birch afferma che “queste macerie sono probabilmente fortemente contaminate da munizioni inesplose, ma ripulirle sarà ulteriormente complicato da altri pericoli presenti”). Tra l’altro, una successiva stima dell’ONU ad ottobre 2024 porta il totale delle macerie a 42 milioni di tonnellate e nell’aprile 2025 a 53 milioni, e non ci sono dubbi che in quasi 6 mesi passati da allora l’aumento ulteriore sia stato devastante. Le stime fatte negli ultimi mesi danno valori di macerie per metro quadro di terreno oscillanti tra 100 e 365 kg. Le stime dell’ONU si basano sui dati rilevati dal sistema di analisi satellitare UNOSAT. E tra i pericoli presenti, drammatico è quello correlato all’amianto: si stima che tra le macerie di Gaza ci siano oltre 800.000 tonnellate di amianto, sempre secondo il responsabile dell’UNMAS, in data maggio 2024 (e anche se fossero solo la metà … sarebbero sempre una quantità spaventosa) e tutto fa credere che oggi siano enormemente aumentate (non è un caso se uso parole volutamente esagerate come “spaventosa” o “enormemente”).

Abbiamo quindi migliaia e migliaia di persone che vivranno in ambienti fortemente contaminati da amianto, che dovranno scavare e trasportare (dove?) tonnellate di macerie contenenti amianto, con un impatto sui livelli di rischio, sia ambientale che  lavorativo, che non è al momento quantificabile ma che non si fatica ad immaginare terrificante, per persone debilitate nel corpo e nello spirito dalla guerra, in un contesto in cui le strutture sanitarie sono state rase a zero o quasi, e che comunque quando ripartiranno dovranno gestire le drammatiche urgenze quotidiane e potranno dedicare poche risorse a prevenire i danni futuri, come i mesoteliomi da amianto. Tenendo conto che i tempi di latenza del mesotelioma pleurico, il principale tumore da amianto, oscillano tra i 20 e i 40 anni (ovvero il mesotelioma inizia a manifestarsi tra le persone esposte in genere non prima di 20 anni dall’inizio dell’esposizione e non oltre i 40 dall’inizio stesso), dalla prima metà degli anni ’40 del nostro secolo avremo i primi casi … e nessuno oggi può dire quando avremo gli ultimi : dipenderà da quanto tempo si protrarranno i lavori di rimozione della macerie e bonifica dell’amianto. Come pure credo che oggi sia impossibile prevedere con una sufficiente attendibilità quanti saranno i casi, anche se credo che ipotizzare numeri dell’ordine di qualche migliaio non sia una follia. E questa sarà una delle tante code della guerra di Gaza (vogliamo chiamarlo genocidio ritardato?).

 

Ora torniamo ai numeri, per uno degli aspetti più drammatici e brutali: quanti sono i morti civili sui morti totali? Un’inchiesta indipendente rivela che sono l’83%, (il che vuol dire quasi 5 civili morti per ogni combattente ucciso).  Tempo fa in un articolo ho trovato un acronimo che mi ha sconvolto: VSVNC, che significa Valore Soglia di Vittime Non Combattenti. Ho cercato di saperne di più, e spero che gli esperti di diritto internazionale che sono qui potranno dire cose più precise e approfondite, ma credo che il DIU (Diritto Internazionale Umanitario) non possa ammettere un valore soglia di questo tipo! Poi ho recuperato sul web gli atti di un convegno dell’8 aprile 2024, prodotto dall’Archivio Disarmo, dal titolo “Vittime civili e inciviltà della guerra” (pubblicati su IRIAD REVIEW, nuova serie, anno VII, n. 7-8, luglio-agosto 2024). A pag. 48 c’è una tabella in cui viene riportata la percentuale di vittime civili non combattenti nei principali conflitti del secolo scorso e dell’inizio del secolo presente. Ad es., nella Seconda guerra mondiale il 69,9%, nella guerra di Corea il 74,1%, nella guerra del Vietnam il 46,3%, nella guerra in atto in Ucraina il 15,1% … quindi l’83% di Gaza è in assoluto una delle percentuali più alte (tra l’altro, nella tabella citata viene riportato un valore ben più alto, ovvero il 94.7%). Non credo serva alcun commento a questi dati.

Avvicinandomi a concludere, vorrei ricordare che c’è ancora una importantissima vittima in più : la speranza , perché si sta uccidendo il futuro per tutta una popolazione e i giovani e bambini hanno davanti un non  futuro (in cui l’unica ragione di vita sarà probabilmente un odio senza limiti per chi ha fatto tutto questo), e quindi, per finire, vorrei ricordare una bellissima (e tragica) frase di Marc Augé: “Se non possiamo diventare più niente, non siamo più niente”, che è un epitaffio perfetto per un genocidio e la tentata cancellazione di un popolo e del suo futuro. E non cito a caso Marc Augé, che forse ricorderete è morto poco più di due mesi prima del 7 ottobre 2023 (il 24 luglio, per l’esattezza), perché tra gli esempi dei c.d. “non luoghi” metteva i campi profughi in cui vivono i migranti, volontari o forzati, e quindi l’aggancio con i fatti attuali e futuri di Gaza è quasi obbligato.

Ma attenzione, parlando di Gaza non possiamo dimenticarci della Cisgiordania e dei c.d. territori occupati, in cui con crescente costanza si sta costruendo un vero apartheid: ecco perché voglio concludere con due foto scattate a fine agosto 2024, quando ero a Città del Capo: i muri del quartiere di Bo Kapp erano pieni di murales a supporto dei Palestinesi, un’espressione di solidarietà da parte di chi l’apartheid l’ha vissuta sulla sua pelle …

 

Leopoldo Magelli

 

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