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Chi segnala le malattie professionali?

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Tempo di lettura: 6 minuti

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Una riflessione di Leopoldo Magelli

A fine maggio 2023 è stato pubblicato l’11° rapporto Malprof, a cura dell’INAIL e delle regioni. È un rapporto di estremo interesse, per cui va dato merito ai redattori delle qualità del loro lavoro, riccamente documentato e intelligentemente commentato. Ho trovato di particolare interesse la sezione cui dedico questo mio intervento, ovvero l’analisi delle fonti delle segnalazioni. Dal momento che alcuni elementi mi colpivano molto e che i dati erano relativi al biennio 2019-2020, aspettavo il nuovo rapporto per vedere se, da 5 anni a questa parte, qualcosa si fosse modificato, per fare una riflessione più attuale. Invece, a tutt’oggi, a quanto mi risulta, il 12° rapporto non è ancora uscito: ignoro i motivi, ma certamente ciò non depone a favore dell’interesse che a livello istituzionale viene rivolto al problema delle malattie professionali.

Quindi mi vedo costretto a ragionare solo su dati vecchi di ormai 5 anni, che sono comunque interessanti per gli interrogativi che aprono, specie se comparati (come nel rapporto si fa) con i dati del precedente ventennio.

Va anzitutto premesso che (pag. 179 del rapporto) “il sistema di sorveglianza Malprof è uno strumento di rilevazione e di analisi delle malattie lavoro-correlate, realizzato allo scopo di migliorare il monitoraggio ed il controllo del fenomeno, anche al fine di identificare nuove patologie non ancora riconosciute né tabellate. Si inserisce tra i sistemi di sorveglianza epidemiologica e di ricerca elle malattie professionali e segue pertanto la logica di favorire il più possibile l’emersione delle cosiddette malattie professionali ‘perdute’ registrando tutte le patologie segnalate come correlate al lavoro, senza effettuare alcun tipo di filtro a priori sulle segnalazioni pervenute o acquisite, intervenendo successivamente nell’analisi della qualità delle informazioni a corredo delle stesse segnalazioni. Il sistema di sorveglianza risulta quindi attivo e ‘sensibile’, perché alimentato dai referti che giungono ai Servizi di prevenzione da varie fonti: Ispettorato nazionale del lavoro (INL), patronati, INAIL, medici competenti (MC), ospedali, Servizi competenti ASL/ATS (PSAL), medici di medicina generale (MMG), medici specialisti, Istituti universitari di medicina del lavoro, Autorità giudiziaria o altra fonte”. E ancora: “l’archivio Malprof si differenzia da quello assicurativo in quanto si alimenta con i referti che ai sensi dell’art. 365 del c.p. e dell’art. 334 del c.p.p. vengono inviati ai Servizi PSAL” (ovvero i Servizi deputati alla prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro dei Dipartimenti della prevenzione delle Asl).

Viene inoltre precisato che, come è ovvio date le premesse ora riportate, l’archivio Malprof e l’archivio assicurativo non sono sovrapponibili. Infatti, molti casi conosciuti da Inail non sono presenti nei sistemi PSAL e viceversa.

Questa lunga premessa era necessaria per evitare un’interpretazione erronea dei dati che nel rapporto vengono illustrati.

 

Un’altra premessa riguarda la qualità dei dati di cui parleremo: nel biennio 2019-2020 il sistema Malprof ha acquisito in tutto 29.823 segnalazioni (pag. 14-15, tab. 1), di cui ne sono state riconosciute valutabili 28.101 (pag. 27, tab. 2a): ebbene, quelle per cui è stato riconosciuto un nesso causale positivo sono state 26.049, pari al 92,7% di tutte le segnalazioni valutabili. Quindi, nel complesso, le segnalazioni presentano una buona attendibilità.

 

Venendo ora al tema del presente scritto, i dati fondamentali su cui riflettere si trovano nella fig. 1 di pag. 25, che rappresenta la “torta” con la distribuzione percentuale delle segnalazioni suddivise per fonte informativa.

L’elenco delle fonti informative in ordine decrescente è il seguente (tra parentesi la percentuale pertinente a quella fonte sul totale delle segnalazioni):

  • PATRONATI (43%)
  • INAIL (20%)
  • UNIVERSITA’ E OSPEDALI (10%)
  • MEDICI COMPETENTI AZIENDALI (9%)
  • SERVIZI SPSAL (4%)
  • MEDICI DI BASE (4%)
  • MEDICI SPECIALISTI (3%)
  • AUTORITA’ GIUDIZIARIA (1%)
  • FONTI NON INDICATE E ALTRE FONTI (6%)

 

Appare subito palesemente evidente il peso delle prime due fonti informative (Patronati e INAIL) che insieme cumulano quasi i 2/3 di tutte le segnalazioni. Se aggiungiamo anche la terza fonte (Università ed ospedali) arriviamo circa ai ¾ di tutte le segnalazioni.

Altrettanto palese appare la scarsa rilevanza del ruolo di fonte di segnalazione dei medici competenti (MC) delle aziende, che secondo logica dovrebbero essere la principale fonte in materia (con eccezione delle patologie a lunga latenza, ad es. i tumori da amianto e in generale i tumori professionali).

 

Nel rapporto il problema viene analizzato nel suo andamento temporale, in particolare confrontando i dati globali del periodo 1999-2020 con quelli specifici del biennio 2019-2020.

Globalmente, nei 21 anni compresi tra il 1999 e il 2020 le segnalazioni provenienti dai medici competenti sono state 73.691 (pari al 23,6% del totale), superando addirittura se pur di un soffio quelle dei patronati (23,5%) e largamente quelle di tutte le altre fonti (es. INAIL 15,4%). Quindi il crollo delle segnalazioni provenienti dai medi competenti è enorme. È un crollo che segue un andamento temporale preciso: precisa, infatti, il rapporto che negli anni dal 1999 al 2010, circa la metà delle segnalazioni ha avuto come fonte il MC (49,0%), a seguire le strutture ospedaliere e universitarie con il 15,0% e l’INAIL con l’11,6%. Negli anni invece che vanno dal 2011 al 2020 la fonte più rappresentata è stata quella dei patronati (37,6%), a cui fa seguito l’INAIL (22,1%), mentre i MC sono fonte di segnalazione solo nel 15,9% dei casi. In particolare, poi, come già visto in precedenza, nel biennio 2019-2020, si scende al 9%.

In parallelo, aumenta sempre più il peso dei patronati, ma questo non è un fatto che stupisce, e non ha certo un significato negativo.

Tenendo conto del fatto che, a fronte di questi andamenti nazionali, a livello regionale si osservano variazioni anche significative (per esempio, in Lombardia il peso percentuale dei MC come fonte di segnalazioni nel periodo 1999 – 2020 è del 42,1%, in Emilia-Romagna del 31,0%, nella Provincia autonoma di Bolzano del 29,2%), che interpretazione dare del crollo (preoccupante) del ruolo di segnalatori dei MC? Nel rapporto viene avanzata un’ipotesi che è uno dei passi in tutto il documento che mi vede in disaccordo: infatti si sottolinea che (pag. 194) “. Nel frattempo, anche il ruolo dei MC è mutato con gli anni, sono aumentati i loro impegni di tipo burocratico-amministrativo, sono cambiate le patologie da lavoro e la loro manifestazione.”

Se è evidente che la segnalazione di una neoplasia professionale difficilmente potrà venire da un MC nei casi di neoplasie a lunga latenza, e così pure per patologie croniche a tipo degenerativo che si instaurano gradualmente e magari compaiono quando la persona affetta non è più inserita nel mondo lavorativo (anche se questo aspetto, grazie al continuo protrarsi della permanenza al lavoro in età ben più avanzata rispetto al passato, inciderà sempre di meno) , per tutte le altre patologie il MC dovrebbe essere la prima sentinella a scattare in azione : perché non lo fa più con la frequenza di prima? Un’ipotesi che viene in mente è che si stia slatentizzando l’intrinseco conflitto d’interesse che attanaglia la figura del MC, che può avere difficoltà ad avviare percorsi che porterebbero il suo committente, ovvero il datore di lavoro, ad avere problemi legali ed economici in conseguenza delle sue segnalazioni. È un problema che si è sempre ipocritamente fatto finta di non vedere, confidando da un lato nell’onestà intellettuale, morale e deontologica dei MC, dall’altro degli obblighi giuridici, con risvolti anche penali, a loro carico, in caso di mancato rispetto degli stessi. Poi è interessante notare che le due regioni in cui più importante è la percentuale dei MC come segnalatori (Lombardia ed Emilia-Romagna) sono due delle regioni con il maggior radicamento storico ed efficacia dell’attività dei servizi PSAL, quindi anche del controllo e verifica dell’operatività dei MC. Ma forse, in generale, è utopistico sperare che, in un contesto sociale in cui la messa in discussione dei diritti di chi lavora è sotto pesante attacco, il delicato rapporto lavoratore-MC-azienda non possa non risentire di questo clima.

 

E, attenzione, non è un fatto solo italiano: vorrei concludere attraversando le Alpi e andando in Francia, per segnalare brevemente una cosa che forse non molti conoscono. In un articolo di “Le Monde diplomatique” , edizione italiana , del maggio 2023 , dal titolo “Medici al servizio dei datori di lavoro?”, il giornalista Selim Derkaoui spiega che dal 2007 i datori di lavoro hanno la facoltà di impugnare, presso l’ordine dei medici, i certificati che individuano un legame tra il lavoro e le sue modalità e lo stato di salute (fisica e mentale) dei lavoratori, aprendo così un contenzioso che può arrivare a richiedere ai medici di rivedere i loro giudizi o addirittura a esporli a sanzioni (altro che il ricorso avverso il giudizio del medico competente ammesso dal nostro ordinamento giuridico!). Questa pressione si fa sempre più insostenibile e crea un clima per cui ottenere un certificato dal proprio medico per avviare un processo di riconoscimento di un tumore come malattia professionale diventa quasi impossibile. E se questo è vero per tutti i medici, figuriamoci in particolare per i medici del lavoro che operano per le aziende. Del resto, dalla Francia viene una delle opere più critiche, anche se molto datata, sul comportamento dei medici del lavoro che operano per le aziende (è un libro del 1976 di Olivier Targowla, edito in Italia nel 1978, con la prefazione e la cura di Franco Carnevale, da Feltrinelli, nella collana Medicina e Potere di G.A. Maccacaro, intitolato “Les medecins aux mains sales”, ovvero “I medici dalle mani sporche”).

L’articolo di Derkaoui si chiude con poche parole di Karine Djemil, medico del lavoro nel territorio Senna – Saint Denis, coinvolta in uno di questi procedimenti: “Questo modo di terrorizzare fin dall’inizio per impedire di stabilire legami tra il lavoro e la salute dei dipendenti penalizza tutti: i medici, i pazienti, la ricerca sulle malattie, la prevenzione dei rischi psico-sociali, i futuri morti sul lavoro …”

 

Vorrei però chiudere con una piccola nota positiva e personale: la percentuale dei medici di base come segnalatori, che nell’intero periodo 1999 – 2020 era del 2%, raddoppia nel periodo 2019- 2020 e raggiunge il 4%: certo, non è un valore alto, ma testimonia comunque un processo di crescita ed attenzione al fenomeno.  Forse oggi scriverei in modo diverso l’articolo “La Medicina del non lavoro“, che pubblicai su SAPERE, n.808, nel lontano febbraio 1978 (quindi anch’esso molto datato!)  in cui criticavo la scarsa attenzione dei medici di base (ed anche degli ospedalieri) all’attività lavorativa dei loro assistiti come possibile fattore di rischio per la loro salute.

 

 

Leopoldo Magelli

medico del lavoro

primo presidente SNOP

 

 

 

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