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Epidemiologia dei disastri della guerra: gli effetti sanitari di lungo termine (quelli a cui si potrebbe non pensare ma a cui è imprudente, se non irresponsabile, non pensare)

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Tempo di lettura: 6 minuti

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I disastri ambientali

Non si fa fatica a cogliere un’associazione di natura causale tra i disastri ambientali, tanto naturali quanto causati da involontari (seppure spesso colposi) errori umani, e i loro effetti drammatici immediati in termini di morti, feriti, invalidi da lesioni traumatiche.

Meno intuitive sono le conseguenze di lungo periodo (“i lasciti ereditari”) dei disastri medesimi, a meno che non ci vengano in mente cose come gli incidenti di Černobyl’ (conseguenza diretta di un guasto al reattore 4 di quella centrale termonucleare) e di Fukushima (conseguenza indiretta di un maremoto che ha generato un’onda anomale che ha travolto quest’altra centrale termonucleare), oppure “il caso Minamata”, con l’intossicazione cronica della popolazione a seguito del rilascio di metilmercurio nei reflui dell’industria chimica Chisso Corporation (1932 – 1968) oppure ancora, per stare in Italia, l’inquinamento delle falde acquifere da PFAS rilasciati dallo stabilimento RiMar – Miteni di Trissino, nel Vicentino (a partire dalla metà degli anni ‘60 del secolo scorso).

I disastri della guerra

Può essere ancor meno intuitiva l’associazione tra guerra e sue conseguenze sanitarie di lungo termine.

Le celebri incisioni di Goya note come “I disastri della guerra” (due serie realizzate tra il 1810 e il 1820: la prima sullo scontro tra soldati e civili durante l’occupazione francese della Spagna tra il 1808 e il 1814, una delle molte “guerre di Spagna”; la seconda sulla carestia che di stretta conseguenza colpì Madrid dal 1811 al 1812) già aprivano lo sguardo e la riflessione oltre lo scenario della violenza bellica “diretta e immediata”. Tramite le immagini l’artista rendeva percettibile a chiunque anche una violenza di natura “indiretta”, legata all’impoverimento e alla devastazione delle relazioni umane, prima affiancata alla guerra combattuta si affianca e poi protrattasi ben oltre il termine temporale del conflitto armato.

…ma la cronaca ci pone di fronte anche ad altre e differenti conseguenze della guerra, che si sviluppano sia in contemporanea ad essa sia in tempi successivi, anche lungo l’arco di decenni: tra queste gli infortuni post-bellici, le endemie (non più solo epidemie) infettive, le “patologie da disastro sociale cronico”, perfino il cancro.

Chi ha oggi una certa età forse ricorda che in Italia, fino a tutti gli anni ‘60 del secolo scorso, in tutte le scuole venivano affissi manifesti con immagini di bambini accecati e/o mutilati e un catalogo di immagini di bombe a mano e mine mirato a far riconoscere “a vista” gli ordigni esplosivi nei quali era più facile imbattersi nelle aree che erano state teatro di battaglie della Seconda guerra mondiale. Tutto l’Afghanistan è oggi infestato da mine antiuomo che continuano a uccidere e mutilare la popolazione civile, anche se ufficialmente la guerra in quel Paese è finita da un pezzo. In questi scenari, il mestiere di cittadino espone ad alcuni rischi post-bellici comuni a quelli del soldato in guerra.

La guerra di posizione radicata in Ucraina dal 2022, su di un fronte molto lungo e in diverse fasi sostanzialmente statico, ha fatto emergere, tanto tra le truppe ucraine quanto tra quelle russe, malattie febbrili sintomatologicamente riconducibili alla tularemia, alla leptospirosi e all’hantavirosi portate da topi e ratti che infestano gli spazi angusti in cui si ammassano i soldati. In pratica, nuove ed endemiche “febbri delle trincee” come durante la Prima guerra mondiale.

Tra gli effetti sanitari della guerra che sconvolge la Palestina da ottobre 2023 impressiona quello della ricomparsa in scena del rischio di poliomielite; un poliovirus vaccino-derivato che ha riacquistato patogenicità è stato determinato in campioni di acque reflue delle città di Khan Younis e Deir Al Balah il 23 giugno 2024. La poliomielite potrebbe quindi tornare endemica in un’area da cui era stata eradicata tramite lunghe e impegnative campagne vaccinali di popolazione, coinvolgendo gli stessi soldati delle truppe occupanti (tanto che le forze armate israeliane hanno iniziato a vaccinarli ad hoc, compresi quelli con un breve periodo di servizio nella striscia di Gaza) e potendosi estendere verso i territori vicini: Israele compreso. Il rischio non potrà che accrescersi se alla popolazione della Palestina continueranno a mancare, se non una vera pace, anche solo un “cessate il fuoco” duraturo, l’accesso all’acqua sicura, un livello accettabile di igiene alimentare, alloggi decenti, un sistema sanitario funzionante: un gruppo di epidemiologi israeliani ha pubblicato sul quotidiano Haaretz un appello in tal senso.

Tutta l’Africa che da decenni è sconvolta da guerre “croniche” e spiazzamenti di lungo periodo per grandi gruppi di popolazione vede aggravarsi i quadri di diffusione delle patologie infettive endemiche e le difficoltà dei sistemi sanitari locali di prestare assistenza sanitaria adeguata a chi se ne ammala (come, del resto, anche a chi si ammala di diabete o cancro). BioMed Central ha pubblicato nel 2007 una rassegna della letteratura scientifica sul contributo degli scenari di guerra alla riemersione dell’encefalite nota come “malattia del sonno” nelle regioni ad elevata insicurezza dell’Africa sub-Sahariana e in particolare nell’Uganda sud-orientale; l’autrice Lea Berrang Ford concludeva che “le variabili correlate ai conflitti devono essere esplicitamente integrate nelle mappature di rischio e nelle prioritizzazioni della ricerca e delle iniziative di mitigazione mirate alla malattia del sonno”.

L’Ucraina non aveva ancora smaltito le conseguenze sanitarie di lungo termine, sia “dirette” sia “indirette”, del citato incidente di Černobyl’ del 1986 (vale a dire: neoplasie emolinfopoietiche, carcinomi della tiroide a altri tumori solidi; distruzione delle reti di rapporti sociali, correlati problemi di salute mentale e loro conseguenze in termini di suicidi, incrementi dell’alcoolismo, delle tossicodipendenze, dei comportamenti a rischio quali uso di siringhe infette e rapporti sessuali non protetti – quindi anche aumento anche dei casi di epatiti, AIDS, tubercolosi, difterite) ed ecco che un’altra centrale termonucleare del Paese, quella di Zaporižžja che aveva la più elevata produzione di energia elettrica in Europa, si è trovata immersa in scenari di rischio di incidenti catastrofici: questa volta perché è in corso una guerra.  Zaporižžja è stata occupata da forze armate russe durante la battaglia di Enerhodar iniziata a fine febbraio 2022 e da allora continua a essere gestita da personale ucraino, ma sotto il controllo militare russo; la gestione ordinaria della funzionalità dello stabilimento è divenuta, di conseguenza, stabilmente problematica. Zaporižžja è stata anche coinvolta (seppure finora marginalmente) in eventi bellici che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha qualificato come una grave minaccia per la sicurezza nucleare. Non siamo ancora alla patologia franca, ma in una situazione fortemente instabile sì: il che non può che aumentare la probabilità di un qualsiasi incidente da precarietà prolungata, manutenzione inadeguata, logoramento di impianti e persone. Chiaramente il rischio travalica i confini delle categorie classiche: quello ambientale “di popolazione” si embrica con quello professionale dei lavoratori dell’energia e con quello “para-professionale” dei militari dell’uno e dell’altro degli eserciti contendenti

La guerra ripropone con prepotenza perfino il problema dei cancri da amianto.

Franco Di Mare, giornalista italiano nato nel 1955 e morto il 17 maggio 2024, aveva pubblicamente dichiarato di essere affetto da un mesotelioma pleurico. Era stato cronista di guerra in Bosnia, Kosovo, Somalia, Mozambico, Algeria, Albania, Etiopia, Eritrea, Ruanda, Afghanistan, Timor Est, Medio Oriente e America Latina; aveva “coperto” anche la prima e la seconda guerra del Golfo Persico. È ragionevole pensare che in uno o più di tali contesti egli possa essere stato esposto a fibre di amianto disperse da edifici in cui l’amianto era presente in qualunque matrice (anche originariamente compatta, ma compatta non più dopo lo scoppio di una granata o di un missile e i conseguenti crolli). Se ciò fosse avvenuto, il mesotelioma di Franco Di Mare sarebbe professionale né più né meno di quelli di un operaio edile che abbia rimosso macerie dopo un terremoto e di un demolitore navale. È certamente possibile che un’esposizione ad amianto significativa, per quanto “indiretta”, possa essersi verificata anche per l’amianto friabile presente in alcuni edifici della RAI. La prima eventualità non esclude la seconda e, quali che siano state le effettive circostanze di esposizione (in una maniera oppure nell’altra oppure in entrambe), per il caso di Franco Di Mare sempre di malattia da lavoro si tratterebbe: ma l’ipotesi legata agli scenari di guerra è quella che apre gli interrogativi maggiori per chi oggi voglia occuparsi di prevenzione dei tumori da amianto, tanto occupazionali quanto ambientali.

La grande nube di polvere, contenente anche grandi quantità di amianto, che è stata generata dal crollo delle Twin Towers dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 (attacchi che si possono ragionevolmente qualificare come atti di guerra) sta già mostrando i suoi effetti di lungo termine sulla salute (respiratoria e non solo) dei sopravvissuti, dei soccorritori e di quanti hanno demolito e rimosso macerie, che essendo nominativamente identificabili ed essendo cittadini di un Paese ad alto reddito hanno potuto essere inseriti in programmi di sorveglianza, diagnosi precoce e assistenza sanitaria anch’essa di lungo termine.

Le guerre in corso in Ucraina e in Palestina non possono che aver portato alla frantumazione incontrollata e concretamente incontrollabile di grandi quantità di strutture edilizie contenenti amianto. Le macerie vengono ulteriormente maciullate da esplosioni successive e da passaggi di mezzi pesanti; inoltre, prima o poi (se non altro quando si arriverà a una qualche forma di pace o almeno di tregua) andranno rimosse. Quindi senz’altro abbiamo avuto, abbiamo e avremo dei nuovi esposti ad amianto da cause belliche, che anche quando diverranno ex-esposti continueranno ad essere gravati dallo stigma del rischio di ammalarsi a causa dell’amianto; trattandosi di persone pressoché inidentificabili come coorte e di cittadini, lavoratori civili e militari di Paesi in fortissime difficoltà economiche, pressoché con certezza non verranno inseriti in programmi di sorveglianza, diagnosi precoce e assistenza sanitaria ad hoc.

Si può continuare l’elenco: ma lo scopo di questo scritto non è di costruire una piccola enciclopedia epidemiologica o anche solo un report campionario sugli effetti sanitari di lungo termine dei disastri di guerra. Queste righe vogliono solo far presente che la guerra, qualsiasi guerra, è perfino peggio di quel che viene mostrato, nell’immediatezza, dalle immagini di edifici in fiamme o crollati, corpi devastati, persone in fuga, comunità spiazzate nei campi-profughi. Perché la guerra lascia eredità tragiche che segnano la salute delle comunità e delle persone anche molto oltre il momento in cui si dichiara “d’ora in avanti, è pace”. È utile che pur sentite e sincere espressioni di cordoglio e preoccupazione nel breve periodo siano seguite nel tempo da una “epidemiologia dei disastri di guerra” che di questi studino anche gli effetti sanitari a lungo termine, generando informazione fruibile anche al di fuori degli ambienti specialistici e contribuendo a una base di dati utile ai decisori per guidare azioni di tutela appropriate, efficaci, eque. Non si può prevenire (e nemmeno curare) se non si conosce e se la conoscenza non genera consapevolezza.

Il sonno della ragione genera mostri (il che era già chiaro a Goya nel 1797).

Roberto Calisti

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