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Non hanno conflitti di interesse...per cui sono liberi di dire ciò che pensano
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Non hanno tra gli obiettivi prioritari la difesa di categorie o di singole figure professionali...
Cercano un continuo confronto con le altre Società scientifiche che operano nel mondo della prevenzione...
Non hanno mai smesso di credere nella necessità di un sistema pubblico di prevenzione diffuso in tutto il paese, in grado di garantire il diritto alla salute e di contrastare le diseguaglianze.
Pensano che la solidarietà e la partecipazione siano ancora valori indispensabili.

Verso i referendum (3): il lavoro precario fa male alla salute

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Tempo di lettura: 4 minuti

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Premessa

Anche in virtù delle finalità previste dal proprio statuto, SNOP intende promuovere la partecipazione al referendum del 8 e 9 giugno, i cui quesiti vertono su aspetti di lavoro, diritti e uguaglianza, direttamente o indirettamente legati a questioni di salute che meritano una presa di posizione da parte dei cittadini.

In quest’ottica, vogliamo raccogliere qui alcuni interventi invitati che trattano i temi che sono oggetto del referendum, contando con questo di fornire ulteriori informazioni e orientamenti utili per la scelta che viene chiesta agli elettori.

Chi voglia intervenire può farlo lasciando un commento nello spazio in fondo alla pagina, cui si accede dopo registrazione al sito o con il proprio account, se già registrati, oppure inviando il contributo proposto a presidenza@snop.it.

 

Il lavoro gioca un ruolo centrale nel determinare la salute non solo di chi lavora ma anche dell’intera società e una parte rilevante dei fattori chiamati in causa in quest’ambito risiede nella natura dei rapporti di lavoro e nell’organizzazione del lavoro. L’influenza delle varie forme di rapporto di lavoro sulla salute dei lavoratori ha meritato molta attenzione anche nella letteratura scientifica internazionale (in allegato una piccola bibliografia recente), particolarmente negli anni recenti, in concomitanza con le profonde modificazioni avvenute nel lavoro per effetto di globalizzazione, politiche neoliberiste, avanzamenti tecnologici e deindustrializzazione e con la diffusione sempre maggiore di nuove forme di modalità di lavoro “non standard”. Qualcuno sostiene, addirittura, che queste modalità stiano diventando la nuova normalità.

Anche se non c’è un consenso definitivo sulla definizione di “occupazione precaria”, essa in genere è usata per descrivere “un insieme multidimensionale che include – ma non si limita a – insicurezza occupazionale, inadeguatezza del reddito e mancanza di diritti e protezione (ILO). Il termine comprende sia contratti a breve termine e temporanei ma, sempre più, diverse altre tipologie caratterizzate da scarso potere contrattuale, vulnerabilità, insicurezza lavorativa e salari insufficienti.

Benché nemmeno i rapporti di lavoro standard siano privi di elementi di insicurezza talvolta anche significativi, il grado di incertezza che caratterizza il lavoro “precario” è evidentemente ben maggiore e vi concorrono diversi aspetti quali il particolare status del ruolo lavorativo, la mancanza di alcune protezioni, l’inadeguatezza di benefici, la mancanza di supporto sociale, spesso l’isolamento dagli altri lavoratori, la minore di opportunità di formazione e di avanzamento di carriera, e in definitiva minori diritti. Ai prevalenti aspetti legati alla natura del rapporto di lavoro spesso si associano anche rischi occupazionali, talvolta aggravati dai primi.

Pur tenendo conto delle incertezze ancora esistenti (il fenomeno è recente e multiforme, con caratteristiche nazionali differenti, di difficile misurazione e gli studi ancora in corso), esiste un’evidenza piuttosto consolidata che riconosce nella precarietà dei rapporti di lavoro – pur con vari gradi di forza nelle diverse tipologie di lavoro precario – una fonte di effetti avversi sulla salute, in termini di infortuni e di stress e sofferenza psicologica, di perdita del benessere ma talvolta anche un carico maggiore di malattie o disturbi a vari livelli, mentale, cardiovascolare, muscoloscheletrico ed altro. Oltre che ad esiti negativi sulla salute, il lavoro precario risulta legato in vari modi a una più bassa qualità della vita, attraverso una maggiore esposizione a condizioni di lavoro a rischio, un minore controllo sul proprio lavoro, scarso riconoscimento economico, carenze nei diritti e nella protezione, ecc. Si deve considerare inoltre che la precarietà dell’impiego è un determinante sociale- chiave della salute perché ha un impatto non solo sui lavoratori ma anche sulle loro famiglie e sulle loro comunità in generale. 

È alla luce di questi aspetti che è stato suggerito che si dovrebbe valutare la precarietà da una prospettiva che consideri un rapporto di lavoro non standard al pari di un’esposizione occupazionale con potenziali effetti negativi sulla salute dei lavoratori.

È stato osservato come, mentre la deregolamentazione del lavoro ha principalmente motivazioni economiche, ci sia, invece, una sottovalutazione dei costi che gli effetti avversi di essa producono sulle condizioni dei lavoratori ma anche sulla produttività.

Benché sia diffusa la tendenza a prospettare soluzioni semplificate alle questioni relative alla salute e sicurezza sul lavoro, prima fra tutte quelle incentrate su controlli e repressione, sappiamo che i numerosi e variegati determinanti lavorativi di salute sul lavoro dovrebbero invece essere affrontati con misure mirate e specifiche, in particolare con una visione preventiva. Ma, per quanto riguarda il lavoro precario in generale, ci si chiede come mai, a fronte di evidenze scientifiche dei danni alla salute che la precarietà porta con sé, tra gli strumenti per migliorare le condizioni di salute sul lavoro non siano quasi mai ricompresi gli interventi volti a garantire maggiore stabilità o, per lo meno, a mitigare certe condizioni di precarietà, che vengono invece considerate come necessarie e irrinunciabili dal punto di vista economico e produttivo. Alla luce dei dati di letteratura che mostrano gli effetti negativi sulla salute dei lavoratori delle condizioni di lavoro variamente precarie, ci si aspetterebbe infatti che i costi sociali ed economici di queste riforme del lavoro fossero attentamente considerati e che la promozione di posti di lavoro di buona qualità e di maggiore stabilità dovesse essere compresa con sempre maggiore urgenza nelle politiche del lavoro. Ma questo non è.

 

Se tutto questo indubbiamente ci riguarda – come cittadini, come lavoratori e anche come “operatori della prevenzione” – non possiamo non sentirci coinvolti da alcuni dei quesiti sui quali tutti/e sono chiamati/e ad esprimersi nel prossimo referendum di giugno e che toccano direttamente o indirettamente i temi della precarietà e dei diritti al lavoro.

Benché lo strumento referendario possa apparire inadeguato a dare risposta diretta a questi temi così complessi e si possa osservare che i quesiti toccano in qualche caso marginalmente gli aspetti cruciali del problema (v. contratti a termine verso altre forme più instabili), un pronunciamento degli elettori indirizzato verso maggiori tutele non potrebbe non orientare in tale direzione il processo legislativo correttivo, anche in modo più ampio rispetto allo specifico aspetto dei singoli quesiti.

 

Graziano Maranelli

 

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