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Cave all’Amianto? No Grazie! Commento alla sentenza del Consiglio di stato 16 luglio 2012.

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Tempo di lettura: 5 minuti

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*già direttore del dipartimento di prevenzione di Chiavari (Ge)

A 20 anni dall’entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha vietato in Italia “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto”, è rimasta ancora indefinita la problematica delle cosiddette pietre verdi. Si tratta di rocce costituite in toto o in gran parte da serpentiniti, minerali in cui la presenza di amianto è certa, anche se variabile per quantità e per grado di fratturazione.

 

A tutt’oggi in Italia sono molte le cave di pietre verdi ancora attive, dalle quali il rischio di rilascio di fibre cancerogene è possibile e non valutato accuratamente. La recente sentenza del Consiglio di stato 3195/2012 aiuta ad affrontare questi temi con maggiori elementi di certezza giuridica e scientifica nell’ottica di tutelare la salute pubblica.

La sentenza del Consiglio di stato 3195/2012 ha concluso una pluriennale controversia, che ha visto contrapposti il Comune di Casarza ligure, l’ASL 4 Chiavarese e la Provincia di Genova al Concessionario di una cava di pietre verdi, che si è avvalso, per sostenere la sua tesi, anche di un parere ARPAL (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure). Il merito del dibattimento ha riguardato l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera delle polveri e delle fibre provenienti dalla coltivazione della cava di serpentinite, sita a Bargonasco in comune di Casarza Ligure, e dalla successiva frantumazione del minerale estratto. La cava era stata classificata, sulla base della presenza di amianto nelle rocce, nel “Gruppo A” dal Piano regionale amianto della Regione Liguria (Delibera del Consiglio Regionale n.105/1996) e comunque concessa in uso dalla Regione Liguria con DGR 708 del 27/6/2000. Cronologia 1 La cava di Bargonasco era rimasta inattiva per motivi aziendali per molti anni.

La società concessionaria nel 2005 decide di riprendere l’attività e richiede alla Regione Liguria il rinnovo della concessione e alla Provincia di Genova l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera derivanti dalla coltivazione della cava e dalla successiva macinazione del minerale estratto.

1 La Regione Liguria, Assessorato Ambiente, nel 2005 rinnova la concessione per la coltivazione della cava di Bargonasco, sulla base di una relazione Arpal. La procedura adottata dalla Regione non prevedeva l’acquisizione di parere del Comune e della ASL di riferimento (Casarza Ligure e ASL 4 Chiavarese).

2 La Provincia di Genova, secondo la propria procedura, richiede al Comune e alla ASL i rispettivi pareri per gli aspetti sanitari ed urbanistici, al fine di rilasciare l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.

3 Il Comune di Casarza Ligure avvia una indagine tecnica, richiedendo parere al prof. Pietro Marescotti del Dipartimento per lo Studio del Territorio e delle sue Risorse dell’Università di Genova. Il 13.03.2006 la “Relazione conclusiva sul rilevamento minero-petrografico comprensivo di campionamento ed analisi minero-petrografiche”, redatta dal prof. Marescotti, afferma in conclusione: “Sulla base dei dati emersi e delle considerazioni riportate, si ritiene che il rischio di emissione di fibre di amianto in atmosfera (crisotilo e in misura minore tremolite) durante le operazioni di coltivazione della cava Bargonasco e delle successive fasi di lavorazione del materiale estratto (frantumazione e vagliatura) sia in generale alto. Tale rischio cresce in maniera considerevole nel caso in cui tali attività interessino serpentiniti fratturate con evidenti filoni di amianto affioranti e sub-affioranti”.

4 La ASL ed il Comune svolgono una valutazione del rischio sanitario ed esprimono un motivato parere contrario all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, provenienti dalla coltivazione della cava e dalla macinazione del minerale, ritenendole incompatibili con la tutela della salute della popolazione residente nelle vicinanze della cava. Nel parere si fa riferimento anche al rischio per la salute dei futuri utilizzatori dei prodotti derivanti dal minerale estratto.

5 La Provincia di Genova prende atto del parere contrario del Comune e della ASL e con proprio atto dirigenziale del giugno 2006 nega alla società concessionaria l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.

6 La società concessionaria ricorre al TAR contro il provvedimento della Provincia di Genova e contro gli atti che ne costituiscono presupposto. Secondo la società ricorrente la Provincia avrebbe immotivatamente respinto l’istanza di autorizzazione, basandosi sui pareri consultivi e non vincolanti del Comune di Casarza Ligure e dell’ASL4. Tali pareri non sarebbero stati pertinenti in quanto prodotti da organi tecnici non deputati a funzioni istruttorie in materia di emissioni in atmosfera. L’unico ente deputato a tali funzioni sarebbe l’ARPAL che, avendo rilevato il rispetto del limite stabilito dal D.M. 14/5/1996 (indice di rilascio delle fibre di amianto < 0,1), avrebbe escluso la pericolosità delle emissioni generate dalla cava.

7 Il TAR Liguria con sentenza del 10/01/2008 accoglie il ricorso presentato dalla società concessionaria e annulla il provvedimento della Provincia di Genova.

8 Comune di Casarza ligure e ASL 4 Chiavarese si appellano al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza 3195 dell’8 maggio 2012, ne accoglie il ricorso e respinge il ricorso al TAR presentato dalla società concessionaria. La sentenza del Consiglio di stato è disponibile al sito del Consiglio di Stato: http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2008/200804393/Provvedimenti/201203195_11.XML Considerazioni

9 La sentenza del Consiglio di stato, analizzando i vari passaggi della vicenda, afferma concetti di valenza generale, che è utile sottolineare. 10 La normativa cosiddetta ambientale, di cui il D.P.R. 203/88 (oggi assorbito nel Decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006) fa parte, ha come finalità la tutela della salute, oltre che la salvaguardia dell’ambiente.

11 La sentenza riafferma che la tutela della salute ha un valore primario nel rapporto con altri interessi; questo principio costituzionale, secondo il Consiglio di stato, non viene scalfito, e non entra in conflitto con la normativa, cosiddetta ambientale, di provenienza comunitaria.

12 E’ ribadita la competenza di Comune e ASL (Sindaco del Comune, in quanto autorità sanitaria locale e ASL, in quanto organo istituzionale preposto alla salvaguardia della salute) nella prevenzione primaria dai rischi per la salute derivanti da inquinamento ambientale. Si riporta in tal modo l’ARPAL al ruolo a lei assegnato dal quadro normativo e cioè “all’istruttoria tecnica delle autorizzazioni e dei progetti, al controllo delle emissioni ed immissioni, al monitoraggio ed alla gestione dei dati, al controllo dell’osservanza delle prescrizioni relative all’inquinamento ambientale”.

13 Sono riconosciute le modalità, adottate dalla ASL per la valutazione del rischio sanitario dell’amianto negli ambienti di vita, al di là del mero confronto con i valori numerici degli indicatori di riferimento. In particolare viene accettato e messo in risalto la insufficienza del parametro “indice di rilascio” per valutare il rischio sanitario: la determinazione di tale parametro “non è, e non può essere, l’unico elemento per valutare la pericolosità dell’estrazione di materiali contenente amianto, in particolare in casi complessi, come quello in esame”, in cui “il contenuto di amianto … è da considerare rilevante”. La valutazione degli effetti dell’emissione nell’atmosfera deve prevedere “l’analisi puntuale dei rischi rinvenibili in concreto, a fronte della concentrazione di amianto nella cava, alle modalità di coltivazione e frantumazione del materiale e alla connessa esposizione all’emissione in atmosfera e diffusione di fibre di amianto per gli abitanti degli edifici circostanti”.

14 La sentenza infine definisce la correttezza del riferimento ai principi comunitari della precauzione e dell’azione preventiva, “quando vi siano motivi ragionevoli per ipotizzare comunque effetti potenzialmente pericolosi sull’ambiente e sulla salute umana”, che in questo caso sono stati: o il contenuto totale di amianto nella roccia, o le sue caratteristiche di friabilità, o la presenza di filoni affioranti ricchi di amianto, o il contenuto di fibre libere e liberabili nel materiale da estrarre e nei materiali lavorati, o le modalità di lavorazione, o la distanza dal centro abitato e dalle abitazioni più vicine, o la concentrazione di amianto nei materiali estratti e lavorati ed il loro successivo uso. Nota a margine Nonostante i rilevanti punti fermi giuridici posti dalla sentenza, questa non si pronuncia sulla impossibilità stessa di estrarre, lavorare e commercializzare materiali contenenti amianto, che la legge 257/1992 pur esclude esplicitamente. Tale esclusione, motivata dalla accertata e nota cancerogenicità delle fibre di amianto, necessiterebbe in ogni caso di norme applicative, maggiormente incisive ed applicabili rispetto a quelle vigenti (in particolare l’Allegato 4 del DM 14/5/1996, che secondo noi presenta incompatibilità con il dettato della legge madre). D’altronde lo stesso Gruppo di studio, istituito dal Ministero della Salute, ritiene insufficiente tale decreto, in quanto prevede “una metodica di analisi che non ha dato i risultati che si proponeva” e lascia “aperti numerosi problemi”.

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