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Esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche

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Pubblicato dalla Regione Veneto lo studio sugli esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), a cura del Registro Nascita – Coordinamento Malattie Rare Regione Veneto.

Tutto ha ufficialmente inizio nel secondo semestre 2013 quando l’IRSA-CNR ha condotto una ricerca sulla presenza di fluoro-composti nelle acque sia superficiali che profonde, rilevando concentrazioni molto alte di sostanze perfluoro-alchiliche nelle acque potabili di 31 Comuni dell’ovest vicentino e del basso veronese per complessive 250.000 persone.

Si è risaliti alla fonte inquinante, la Miteni di Trissino situata all’imbocco della Val d’Agno. Già nel 1976la medesima ditta che allora si chiamava Rimar (Ricerche Marzotto), era stata al centro di uno sversamento di fluorurati, sintetizzati per la produzione di Triflurarin, un diserbante.

Non esistendo parametri di legge per le concentrazioni massime di queste sostanze, l’ULSS di Verona ha adottato da subito gli indici usati in Germania, ed in contemporanea è stato chiesto dalla Regione Veneto al Ministero della Salute di indicare dei limiti di sicurezza. Nel frattempo l’Ente gestore, Acque Veronesi, ha chiuso tre pozzi ed ha posto filtri a carbone attivo sugli altri 4, riuscendo a mantenere le concentrazioni al di sotto dei livelli indicati dall’ULSS. Le indicazioni ministeriali sono arrivate in gennaio 2014 ponendo i limiti di sicurezza (“valore obiettivo provvisorio tossico logicamente accettabile”) a livelli superiori a quelli tedeschi.

Una ulteriore complicazione è legata alla presenza di numerosi pozzi privati non censiti, utilizzati per approvvigionamento idrico in aggiunta all’acquedotto, e non raramente in alternativa all’acquedotto che non arriva, il cui monitoraggio è lasciato alla volontà ed iniziativa dei singoli proprietari.

L’assunzione dell’inquinante avviene però solo in minima parte attraverso l’acqua; indicativamente per circa il 90% avviene attraverso altri alimenti inquinati quali uova, pesci, verdura coltivata in terreni inquinanti (insalata, patate, carote, ecc).

La gravità del problema è quindi di portata enorme in considerazione dell’alto bioaccumulo e dell’alta persistenza delle sostanze perfluoro-alchiliche che vengono convogliate nei vari strati delle falde, ripescati e redistribuiti con l’irrigazione o con l’utilizzo di acque inquinate per il raffreddamento di cicli industriali, o semplicemente con la reimmissione attraverso le risorgive.

Uno studio su 70.000 persone che vivono in Ohio, in una zona inquinata dalla Dupont con le stesse sostanze fin dagli anni ‘50, ha concluso che esiste una “probabile correlazione con 6 tipi di patologie”: ipercolesterolemia (e quindi aumento del rischio cardiocircolatorio), colite ulcerosa, malattie della tiroide, tumori dei testicoli e del rene, ipertensione indotta dalla gravidanza e preeclampsia.

Lo studio veneto limita il campo alla fertilità, gravidanza, parto e neonati ed è sufficiente a delineare un quadro di rischio e di danno preoccupante.

La commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha prodotto un corposo documento, pubblicato in data 8 febbraio 2017, che cerca di far chiarezza sul livello di tossicità delle sostanze perfluoroalchiliche. Si fa il punto sia della situazione di esposizione della popolazione che di quella dei lavoratori della ditta Miteni, ritenuta la fonte dell’inquinamento.

Flavio Coato

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