Il 26 ottobre si terrà l’udienza di Camera di Consiglio presso la Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione a Roma ove si deciderà sul ricorso proposto dall’associazione Codici e dalla Procura della Repubblica di Pescara avverso la sentenza del Tribunale del gup di Pescara del maggio 2011 sulla mega discarica di Bussi.
Perché in Italia può succedere che nel bel mezzo del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga si nasconda la discarica più grande di tutta Europa: 500 mila tonnellate di rifiuti sotterrati fino a 6 metri e che ricoprono una superficie grande come venti campi da calcio.
Negli anni ’60 il sito chimico-industriale divenne un cantiere permanente, luogo di scarichi su terreni un tempo destinati all’agricoltura e alla viticoltura dando via alla contaminazione dell’acqua potabile che riforniva la cittadinanza abruzzese.
Nella primavera del 2007 partì un processo che vide imputate 19 persone della Montedison, accusate di disastro doloso e avvelenamento delle acque, e otto dirigenti delle società gestrici dell’acqua in Abruzzo (Ato e Aca) accusati, a vario titolo, di commercio di sostanze contraffatte e di turbata libertà degli incanti (già usciti dal processo perché per i giudici «il fatto non sussiste»). Restano sotto accusa i vertici della Montedison, non più per avvelenamento delle acque ma per adulterazione che consiste in una contaminazione che non raggiunge livelli di alta gravità.
I veleni interrati per oltre un secolo: Cloroformio, Tetracloruro di Carbonio, Esacloretano, Percloroetilene, Tetracloretano, metalli pesanti, Idrocarburi Paraffinici. Ad oggi i rifiuti restano depositati nella valle rivestiti da un telone che copre le aree contaminate e in più l’acqua piovana e il fiume continuano a far girare le sostanze tossiche.
La fine di questa storia deve ancora arrivare dalle autorità. Non si sa ancora per quanto tempo dovremo aspettare, per adesso non è possibile prevedere neanche una data certa per l’inizio della bonifica del sito. D’altronde questa, è solo una storia locale.