Un’analisi condotta da Giovanni Falasca sugli Open Data INAIL pubblicati da CiiP
L’intervento di Leopoldo Magelli di un mese fa su questo sito (https://snop.it/chi-segnala-le-malattie-professionali/) ha ricevuto numerose visite e ha stimolato diverse riflessioni, pur senza produrre fin qui commenti strutturati o veri interventi.
Giovanni Falasca, nell’intervento che gentilmente ci offre per la pubblicazione, è partito da un altro aspetto ma che ha in comune con alcuni argomenti di Magelli il tema della tutela dei lavoratori affetti di patologie da lavoro: il grado di riconoscimento assicurativo delle malattie professionali denunciate. Se quanto viene sottolineato è la bassa frazione di riconoscimento da parte di INAIL delle MP denunciate, con andamenti poco spiegabili nel periodo di osservazione, non può non essere registrato anche come questo si realizzi in maniera molto differenziata tra le sedi provinciali INAIL (ma, aggiungiamo noi, anche a seconda della natura della MP), suscitando diversi interrogativi circa l’uniformità di trattazione e, infine, in merito alla garanzia di pari tutela dei lavoratori a livello territoriale. Ferma restando questa disomogeneità attribuibile alla fase di giudizio, una questione che merita comunque di essere affrontata è anche la qualità degli accertamenti e delle documentazioni che accompagnano le certificazioni mediche a supporto delle denunce, al fine di capire quanto anche questo contribuisca, ad esempio, a determinare esiti differenti in dipendenza anche del soggetto segnalatore.
Falasca, infine, porta l’attenzione su quello che ritiene sia il nodo centrale che “resta lo squilibrio normativo che caratterizza il rapporto tra lavoratore e INAIL” e vi dedica una trattazione di grande interesse.
L’intervento che pubblichiamo nasce all’interno del Gruppo CiiP dedicato ai Sistemi Informativi ed è da segnalare che lo strumento pubblico per la lettura degli Open Data Inail, con cui è stata condotta l’analisi, è frutto di una volontà CiiP che rimane ancora un caso unico in Italia.
La percentuale di riconoscimento delle malattie professionali in Italia
a cura di Giovanni Falasca (Università degli Studi di Padova)
L’obiettivo di tutelare i lavoratori dall’insorgenza delle malattie professionali, in Italia, incontra difficoltà non solo nell’emersione delle patologie, ma soprattutto nei bassi livelli di riconoscimento: poco più del 40% a livello nazionale, con marcate disuguaglianze territoriali che oscillano dal 30% a quasi il 70%. Questa incertezza nelle tutele si riflette sulla credibilità stessa delle azioni di prevenzione: i lavoratori possono essere indotti a non denunciare i sintomi, mentre i datori di lavoro rischiano di percepire il problema come marginale. Alla base di tale situazione vi è uno squilibrio previsto dal Testo Unico dell’assicurazione obbligatoria, che attribuisce al medico legale INAIL il ruolo di “giudice unico” nelle procedure di riconoscimento, senza contraddittorio. In caso di disaccordo, il lavoratore resta di fatto privo di un sostegno istituzionale diretto, differentemente da quanto il legislatore ha previsto per i giudizi di idoneità.
Negli ultimi Piani Nazionali di Prevenzione l’obiettivo da raggiungere nell’ambito delle attività relative alle malattie professionali è sempre stato quello della loro emersione. L’obiettivo sembra ampiamente raggiunto se osserviamo l’andamento delle denunce di malattie professionali in una serie storica abbastanza lunga: si è passati dalle 20.000 denunce circa del 2004 a più di 70.000 del 2023.

Figura 1. Andamento delle malattie professionali denunciate e riconosciute in Italia
(Fonte Flussi Informativi Inail-Regioni)
Tuttavia, dalla Figura 1 si nota immediatamente che l’andamento delle malattie riconosciute, specialmente negli ulti anni, continua a divergere, allargando la forbice che potremmo senz’altro definire come mancanza di tutela.
Al forte aumento delle denunce, con l’introduzione delle nuove tabelle del DM 2008, che allargava il numero di malattie tabellate, è seguito un incremento molto minore di riconoscimenti fino ad arrivare ad un appiattimento dopo il 2018. In seguito, dopo la pandemia e l’aumento delle denunce dovute all’arretrato accumulato, l’andamento dei riconoscimenti non è aumentato, ma è rimasto a livello pre-pandemico.
Dobbiamo concludere che le attività legate all’emersione delle malattie professionali potrebbe ritenersi conclusa con grande successo e che per il futuro basterà limitarsi alle attività attuali senza prevedere ulteriori sforzi?
Ovviamente no, perché l’emersione è solo una parte della tutela: è necessario che le patologie emerse faticosamente ricevano un riconoscimento e anche un indennizzo. A questo proposito abbiamo già visto due risultati distinti:
- L’aumento della distanza fra l’andamento di denunce e riconoscimenti
- La tendenza alla diminuzione, anche in termini assoluti, dei risarcimenti
Il secondo punto appare in tutta la sua evidenza osservando il grafico di Figura 2. Anche considerando che il dato del 2024 possa migliorare a seguito di riconoscimenti tardivi e contenziosi a favore dei lavoratori, la tendenza è netta e senza appello.

Figura 2 Percentuale di riconoscimento delle malattie professionali in Italia
(fonte Open Data Inail)
A peggiorare ancora l’emergenza della tutela dei lavoratori che, vale ripeterlo, si concretizza solo e soltanto in risarcimenti equi, è che l’andamento appena visto è una media italiana che nasconde una variabilità estrema a livello territoriale. Questo significa che in molti territori si risarcisce molto meno della media nazionali, compensati da altri dove si risarcisce fino a due, tre volte di più.

Figura 3 Sedi provinciali Inail con le più basse percentuali di riconoscimenti di malattia professionale (fonte Open Data Inail)
Dal grafico di Figura 3 vediamo che nell’elenco ci sono sedi provinciali come quelle di Milano, Torino e Roma, ma anche distretti industriali importanti come quelli di Biella, Varese, Novara e Rimini, oltre a quelle storicamente critiche dei capoluoghi del sud.
Se invece esaminiamo le sedi provinciali Inail con le maggiori percentuali di riconoscimento delle malattie professionali, troviamo quasi tutto il Nord-Est, più la Liguria, le Marche e la Versilia (Figura 4). Stupiscono però le sedi territoriali adiacenti a sedi viste nell’elenco precedente: Alessandria, Bergamo, Verbano, Lecco e Lodi.

Figura 4 Sedi provinciali Inail con le più alte percentuali di riconoscimenti di malattia professionale (fonte Open Data Inail)
Quale può essere la logica che tiene insieme queste contraddizioni? Com’è possibile che i lavoratori di Padova abbiano tre volte una chance di vedersi riconosciuta una malattia professionale che a Torino? Confrontando le due liste di Figura 3 e Figura 4 si possono, purtroppo, creare molti di questi paradossi con differenze dal doppio al triplo.
Eppure, possiamo appaiare, prendendoli dalla due figure, territori del tutto omogenei in termini di tessuti industriali, dimensioni economiche e territoriali, popolazioni e numero di occupati: è impossibile trovare una variabile che spieghi differenze così grandi.
Chi opera nei territori conosce bene le reali differenze che si riscontrano nel percorso di riconoscimento delle malattie professionali. Ogni fase comporta criticità specifiche:
- la qualità e completezza del primo certificato (medico di base, medico del lavoro, medico della ASL);
- la presa in carico della pratica da parte del patronato;
- la valutazione medico-legale dell’INAIL;
- le eventuali indagini dei Servizi di Prevenzione delle ASL;
- la discussione in sede di collegiale;
- l’assistenza nel contenzioso davanti al giudice del lavoro;
- le pressioni esercitate dalle aziende;
- i successivi gradi di giudizio.
Ciascuno di questi passaggi rappresenta un ostacolo significativo per il lavoratore, che si trova in una posizione di netta asimmetria rispetto all’ente assicuratore e al datore di lavoro. Tale squilibrio può essere solo parzialmente attenuato dall’intervento di Patronati e Servizi di prevenzione delle ASL, ma il sistema, nella sua configurazione attuale, resta strutturalmente sfavorevole.
Il tema del riconoscimento non riguarda pochi casi individuali, ma incide direttamente sulla credibilità delle politiche di prevenzione. È difficile, infatti, che un’azienda investa in misure costose di riduzione dei rischi se solo una parte limitata dei lavoratori ammalati otterrà il riconoscimento della malattia e, tra questi, una percentuale ancora minore riceverà indennizzi di entità significativa.
Di conseguenza, la prevenzione delle malattie professionali in Italia non può basarsi soltanto sull’aumento delle denunce o sul prezioso impegno di enti pubblici e privati che assistono i lavoratori. Pur essendo fondamentale sostenere tali attività, anche con risorse pubbliche dedicate, il nodo centrale resta lo squilibrio normativo che caratterizza il rapporto tra lavoratore e INAIL. L’Istituto, infatti, agisce come controparte e non come alleato del lavoratore, che rimane privo di un soggetto istituzionale in grado di seguirlo fino alla conclusione della procedura.
La domanda di fondo è allora inevitabile: perché un ente di previdenza sociale, che ha nello statuto la prevenzione e la tutela della salute dei lavoratori, opera di fatto come controparte? In altri ambiti, come nella responsabilità civile automobilistica, l’assicurazione dell’assicurato si occupa delle indagini e si confronta con l’assicurazione della controparte, tutelando l’interesse del danneggiato a ottenere il giusto risarcimento. Nel campo delle malattie professionali questo meccanismo manca del tutto: l’INAIL gestisce contemporaneamente il ruolo di valutatore e di erogatore, senza che il lavoratore disponga di una “controparte amica” che lo rappresenti.
Questo non significa attribuire responsabilità dirette all’INAIL: l’Istituto applica in modo coerente la propria legge istitutiva. È piuttosto la normativa che porta con sé un limite strutturale, non avendo previsto contrappesi al giudizio del medico legale INAIL, cui spetta di fatto l’intero procedimento. Tale configurazione pone il lavoratore in una condizione di asimmetria difficilmente colmabile.
Una lettura storica aiuta a comprendere questo esito: l’INAIL nasce negli anni Trenta come ente “paternalistico”, che prevedeva forme di risarcimento senza però riconoscere veri diritti soggettivi. Questa logica si è mantenuta sia nel dopoguerra sia con l’approvazione del Testo Unico del 1965 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124).
Oggi, le tutele ridotte per i lavoratori derivano proprio da quel testo normativo, che assegna al medico legale INAIL la funzione di “giudice unico”. Gli articoli 81–85 delineano un procedimento in cui l’Istituto istruisce (art. 81), accerta (art. 82), indaga (art. 83) e decide (art. 84), comunicando infine la decisione al lavoratore (art. 85). Quest’ultimo può soltanto impugnare l’esito con ricorso (art. 86 e seguenti).
Il parallelismo con il vecchio giudice istruttore del Codice di procedura penale del 1930 è evidente: anche allora un’unica figura conduceva l’istruttoria e decideva, senza un contraddittorio effettivo. Quella funzione è stata riformata nel 1988 per ristabilire l’equilibrio tra accusa e difesa. Per l’INAIL, invece, non è mai stata introdotta una riforma analoga, e questo squilibrio continua da oltre cinquant’anni a incidere sulla vita dei lavoratori.
Potremmo chiederci se il problema del giudizio monocratico dei medici legali Inail sia un problema soltanto italiano, ma non è così:
- in Germania, le Berufsgenossenschaften (BG) gestiscono l’assicurazione contro le malattie professionali, finanziata dai contributi dei datori di lavoro. Le BG sono amministrate congiuntamente da rappresentanti delle imprese e dei lavoratori, e i lavoratori possono essere assistiti anche da associazioni sociali dedicate, riducendo lo squilibrio nel procedimento di riconoscimento;
- in Francia la gestione è affidata alla Sécurité Sociale (CPAM), anch’essa finanziata dai contributi dei datori. Il sistema si caratterizza per un forte ricorso a tabelle ufficiali: quando una malattia, una mansione e un periodo minimo di esposizione coincidono con quanto previsto, il riconoscimento è automatico. Nei casi particolari, la valutazione è demandata a un comitato medico indipendente;
- nel Regno Unito, le prestazioni per malattie professionali rientrano nell’Industrial Injuries Disablement Benefit, finanziato dalla fiscalità generale. La decisione spetta al Department for Work and Pensions e non vi è quindi un’assicurazione privata direttamente coinvolta;
- negli Stati Uniti, la Workers’ Compensation è regolata a livello statale, con assicurazioni private o fondi pubblici a cui i datori di lavoro versano i premi. Il sistema è più articolato, ma i lavoratori possono contare su una rete legale specializzata che facilita l’accesso alle tutele.
Dunque, in Germania e Francia esistono contraddittori istituzionali; nel Regno Unito e negli Stati Uniti, pur con modelli diversi, il lavoratore non è lasciato da solo. L’Italia resta l’unico caso in cui l’istruttoria e la decisione sono concentrate nello stesso ente senza contrappesi.
In conclusione, la vera questione della tutela delle malattie professionali in Italia riguarda il ruolo attribuito ai medici legali INAIL dagli articoli 81–85 del Testo Unico dell’assicurazione obbligatoria. È in questa concentrazione di poteri la radice delle criticità che oggi gravano sull’intero sistema e che richiedono continui sforzi supplementari da parte di patronati, servizi sanitari e magistratura del lavoro. Affrontare il problema alla radice significa riequilibrare il procedimento decisionale, introducendo contraddittori obbligatori sul modello già previsto in Germania e Francia, senza necessariamente adottare soluzioni più radicali come il sistema britannico di risarcimento pubblico automatico.


2 risposte
I due contributi di Tino Magna e di Giovanni Falasca a seguito della riflessione di Leopoldo Magelli suscitano una mia riflessione che mi auguro coinvolga altre persone, specialmente dei Servizi di SSL.
Cercherò di essere sintetico:
– MAL PROF, che a mio avviso è un sistema magnifico per valutare le Tecnopatie, in quanto esplora vari aspetti delle patologie per arrivare a nessi di causalità puntuali, dovrebbe essere maggiormente supportato in modo da diventare patrimonio di tutti. A conferma di questa mia affermazione rilevo che in Sicilia (dove storicamente le denunce sono state sempre poche) il numero dei casi nel periodo 2009-2013 è significativamente più altro rispetto agli altri periodi (datawarhouse). Questo è avvenuto perché MAL PROF in quegli anni era stato inserito negli obiettivi regionali, il COVID ha bloccato questo processo e i risultati si vedono. Basterebbe reintrodurre questo obiettivo nel PNP.
– Il fatto che le denunce di M.P. provengano per la maggior parte dai Patronati pone una serie di riflessioni relative al ruolo del Medici Competenti che pur essendo aumentati come numero rispetto a 20-30 anni fa, spesso si limitano ad alimentare la logica del VISITIFICIO. L’analisi dei dati dell’allegato 3B (dati fortemente incompleti per responsabilità di molti !) evidenzia come a fronte di un massiccio utilizzo di accertamenti sanitari non corrisponda una conseguente emersione di patologie e di denunce di MP.
– Non ci sono dubbi che le patologie a “lunga latenza” quali i tumori, dovrebbero essere nelle corde dei medici dei Patronati, ma le patologie a bassa latenza dovrebbero ancora essere di specifica competenza dei medici competenti.
– Da sottolineare che i mesoteliomi risultano la patologia più denunciata e più riconosciuta. E gli altri tumori professionali è possibile che siano diminuiti? O forse questo è dovuto alla convinzione che è più semplice riconoscere un mesotelioma piuttosto che un tumore polmonare in esposto a cromo esavalente o un carcinoma epatico ad un infermiere che in precedenza aveva contratto un epatite C ?
La mia esperienza di medico di Patronato che sto iniziando a vivere dopo anni di lavoro in uno SPreSAL, mi sta facendo conoscere modalità di riconoscimento per lo meno singolari. Ha ragione Falasca quando dice che l’INAIL si comporta spesso come controparte dei lavoratori che denunciano la M.P. ed è sicuramente interessante la critica che fa al Sistema Italiano in cui la terzietà del giudizio è di fatto assente. Ma con i tempi che corrono …
Paolo Ravalli