Il 26 gennaio dello scorso anno, i 50 anni del Servizio pubblico di Prevenzione negli ambienti di lavoro di Trieste erano stati ricordati in un seminario organizzato dalla CGIL (di cui avevamo parlato su queste pagine), “mettendo in evidenza molti dei suoi caratteri innovativi nati nell’effervescente società dei primi Settanta” (parole di Umberto Laureni).
In attesa della pubblicazione degli atti di quell’evento, Laureni stesso ha voluto metterci a disposizione il suo contributo.
Lo riportiamo qui in allegato con una breve introduzione di Alberto Baldasseroni.
“Le pagine di Umberto Laureni, ingegnere di Trieste, co-fondatore del servizio di igiene e sicurezza del lavoro del comune di Trieste nel 1973, poi per molti anni esponente di primo piano di quel movimento di operatori della prevenzione nei luoghi di lavoro che si è riconosciuto nella SNOP, rappresentano un contributo importante alla memoria di quelle esperienze. Il suo racconto si concentra sui primi 5 anni di attività del Centro triestino, ricordando la metodologia di intervento, gli ostacoli, ma anche le realizzazioni di quel periodo a difesa della salute dei tanti lavoratori e lavoratrici. Ma l’elemento che colpisce di più nel suo racconto è l’entusiasmo che caratterizzava quel gruppo di giovani attori della prevenzione agita nelle fabbriche di Trieste, al fianco e insieme agli stessi lavoratori, mai al di sopra di loro. Un entusiasmo che si accompagnava a un forte impegno professionale, svolto sia sul piano delle indagini fabbrica per fabbrica, che nella costruzione di impegnative, dal punto di vista scientifico, cooperazioni con istituti di ricerca, laboratori di analisi ambientali e università, indispensabili alleati nella definizione del rischio, il cui nucleo essenziale però rimaneva basato sulla percezione e misura da parte del gruppo di lavoratori esposti alle medesime condizioni ambientali, il Gruppo Operaio Omogeneo. Laureni sottolinea anche che in quei primi anni di funzionamento del servizio, ancora privo di funzioni ispettive e impositive del rispetto delle norme, la conoscenza dei rischi costruita dal servizio portava a concreti miglioramenti dell’ambiente solamente in quelle situazioni in cui gli stessi lavoratori coinvolti si incaricavano di rivendicarli, costruendo vertenze e conducendo forme di lotta appropriate.
La testimonianza di Laureni indica una strada che speriamo venga percorsa anche da altri protagonisti di quegli anni, quella della “memorialistica”, non in vista di inutili “amarcord” sul “come eravamo”, ma per consegnare a chi è venuto dopo di noi nello svolgimento di questo lavoro una memoria viva, ben documentata delle radici di un impegno professionale che coincise per molti di noi con l’impegno per una società più giusta, rispettosa della salute di chi lavora e dell’ambiente in cui tutti noi ci troviamo a vivere. “
Alberto Baldasseroni
Note sulla foto dell’articolo: “Degli anni Ottanta ti invio questa immagine che mi è molto cara. È quella di due picchettini appena usciti dal doppiofondo di una nave (il cantiere era l’Arsenale Triestino San Marco), che si sono prestati a mettersi in posa.” (Laureni)
Vengono chiamati “picchettini” i lavoratori impegnati sulle navi nei “lavori di pulizia, rimuovendo incrostazioni, ruggine e residui di combustibile, muovendosi in cunicoli bassi e angusti, servendosi di stracci, spazzole, raschietti e pale” (v. Angelo Ferracuti, Il costo della vita. Storia di una tragedia operaia, Einaudi, 2013).