Un Piano ben poco integrato, vuoto ma pieno di insidie.
La situazione della salute di tutte le persone è davvero brutta, preoccupante, penosa, ingiusta e, dentro questo contesto, lo stesso vale per quella della salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.
In questo quadro e nell’ambito della sua più ampia azione negativa sul SSN e sul diritto alla salute dei cittadini, il Governo attuale prosegue anche l’opera di smantellamento del sistema dei servizi pubblici di prevenzione negli ambienti di lavoro, peraltro già avviata dai governi precedenti, a suon di norme che ne limitano il campo d’azione e di definanziamenti.
Proprio intorno a Natale, il Governo ha emanato un fulmineo “Piano integrato per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro per un’Italia più giusta e sicura”, talmente rapido che, adottato il 17 dicembre, oggi quando ne scriviamo è già operativo e che, evidentemente, non ha concesso il tempo per nessuna interlocuzione o, peggio, condivisione né con altri soggetti istituzionali né tantomeno con le “parti”.
Le considerazioni che il Piano suscita sono molteplici e fonte di forte preoccupazione.
Intendiamo qui annotare, in maniera non organica e per punti, una serie di riflessioni che pure meritano un approfondimento ulteriore.
– Il Piano, che si vanta dell’aggettivo “integrato”, integra sostanzialmente solo INAIL e INL, escludendo una serie ampia di altri soggetti istituzionali che avrebbero avuto necessità di essere “integrati”, a cominciare dall’ASL che ancora è un organo di prevenzione e di vigilanza (L. 833/78 e seguenti, D.Lgs. 81/08).
– Il Piano avrà la durata di un anno solare. Il nostro Paese manca di una strategia nazionale di lungo periodo per la SSL ma ora abbiamo un piano della durata di un anno! Esiste da 20 anni un Piano Nazionale della Prevenzione, declinato in Piani Regionali, con la costante previsione di un macro-obiettivo e di relativi obiettivi strategici dedicati alla SSL con vincolanti LEA, ma qui viene completamente ignorato e quello che fa testo è, invece, il “Piano Triennale della Prevenzione” di INAIL! Esistono da anni pianificazioni poliennali di iniziative ma qui il “cambio di passo” è costruito in un estemporaneo e autoreferenziale Piano annuale!
– Sono stati impiegati anni per affinare gli indicatori atti a misurare non solo la realizzazione del PNP ma anche la sua efficacia: ma qui il monitoraggio è previsto con report mensili in cui saranno descritte le iniziative intraprese e sarà (auto)dichiarata la loro rispondenza agli obiettivi. Inoltre, dopo lunghe discussioni sulla accountability (con le scuse per l’anglicismo), scopriamo che la rendicontazione non deve essere fatta ai soggetti interessati, ai lavoratori, alle imprese ecc. ma al Ministero, o addirittura al “vertice politico!”
– Il “cambio di passo” che viene presentato come cuore dell’operazione, sembra furbescamente attribuire ad una nuova gestione politica la scoperta della soluzione perfetta, lasciando intendere che quanto fatto fin qui non aveva compreso cose fondamentali. Forse si dimentica di dire che gli enti integrati nel Piano avevano le stesse responsabilità nel “prima”.
– Si fa propaganda di un “cambio di passo” quando nessuna reale innovazione è presente nel Piano: non le campagne di sensibilizzazione, non la formazione a livello scolastico, non i progetti finanziati, non certo le campagne straordinarie di vigilanza o le manifestazioni fieristiche (Ambiente Lavoro ha chiuso la sua 24° edizione) ma nemmeno l’idea del rating qui chiamato RSP.
– Il cambio di passo sembra esserci nel linguaggio. Qualcuno che forse ha poca dimestichezza con il mondo della prevenzione e della SSL scopre ora che “ancora troppo spesso, infatti, si sente parlare di incidenti, anche con conseguenze letali (le cosiddette “morti bianche”)!. Ma anche:
o Con riferimento alla dimensione lavorativa, occorre focalizzare l’attenzione su una tematica di assoluta attualità: la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
o … un luogo di lavoro sano e sicuro, non solo salva vite umane e protegge i lavoratori da infortuni e malattie professionali, ma può anche abbassare i costi connessi al verificarsi di simili eventi, ridurre l’assenteismo e il turnover, aumentare la produttività e la qualità lavorativa.
o Nonostante la costante emanazione di decreti, in cui vengono dettagliati gli obblighi e le misure di tutela da rispettare nei diversi contesti lavorativi, la situazione odierna non sembra rispettare le più rosee aspettative. (sic!)
– Chi ha scritto questo è certo qualcuno che ha finalmente capito tutto e scoperto che “per risolvere tale problematica occorre adottare un approccio differente, che preveda il superamento dell’idea secondo la quale la tutela della sicurezza rappresenti solamente una mera attività di adempimento giuridico” e che è necessario “un vero e proprio cambiamento di mentalità, che non releghi più la tematica della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nell’alveo di meri adempimenti normativi.” Ci sembrava di cogliere nei recenti provvedimenti che il Governo considerasse la tutela SSL come “mera operazione di vigilanza” (magari più formale che vera), che non è che l’altra faccia della medaglia degli adempimenti normativi: accoglieremmo con soddisfazione questa conversione, se fosse vera!
– Ma ci sono altri importanti concetti enunciati col fervore di chi fa una scoperta, quale questo: per la tutela della SSL è “fondamentale l’operato congiunto di chi ha una responsabilità diretta e di ogni singolo lavoratore”. È verità innegabile che il lavoratore (mi raccomando, singolo e non in qualche maniera associato o rappresentato!) deve essere un soggetto attivo nella SSL, ma qui sembra configurarsi una corresponsabilità che cancella i diversi livelli di potere. Soprattutto se (v. oltre) le cause dei danni da lavoro rimangono in una nuvola oscura dalla quale emergono solo una mentalità sbagliata (il mero adempimento normativo) e comportamenti non conformi. Una lettura della tutela della SSL monodimensionale, cui viene negata la nota complessa e inestricabile multifattorialità.
– Oltre che delle parole che ci sono, vale la pena di prendere nota di quelle che mancano. Tra queste: precarietà, lavoro atipico, partecipazione, RLS (citati solo tra i soggetti destinatari di progetti di formazione “e informazione”), dignità, migranti, lavoro povero … O di quelle marginali: tra tutte, le ASL, che paiono un ente “altro” di cui si deve tener conto nella vigilanza solo per evitare duplicazioni o nell’accesso ai dati del SINP (anche del SINP vigilanza) che si deve garantire, ma che nulla hanno a che vedere con questo Piano “integrato”.
– Traspare una mistificazione della realtà del lavoro e dei rischi lavorativi. Quello che manca davvero è qualsiasi ragionamento su quello che mina davvero le condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro e che vada al di là di quel – quasi incolpevole – “fraintendimento” che “la tutela della sicurezza rappresenti solamente una mera attività di adempimento giuridico”. No, non sono le logiche legate alle forme e modalità di lavoro, all’anteposizione del profitto al valore della salute e delle persone-lavoratori, alla scarsa considerazione dei diritti e della dignità dei lavoratori, alle distorsioni indotte dal mercato del lavoro e sostenute dalle leggi e alle altre patologie del sistema produttivo … ma unicamente un aspetto culturale correggibile con un “vero e proprio cambiamento di mentalità” che “non releghi più la tematica della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nell’alveo di meri adempimentinormativi”.
– Molta attenzione viene dedicata, giustamente, alla scuola come luogo privilegiato per operare ai fini della promozione della cultura della sicurezza, però tacendo o dimenticando tutto quello che fin qui è stato fatto, anche nell’ambito dei PNP, dagli organi del SSN (SPSAL e Dipartimenti della prevenzione), dagli enti regionali, dalle istituzioni scolastiche, spesso proprio con l’appoggio e la collaborazione di INAIL. Ma di queste è meglio tacere se lo scopo è evidentemente quello di vendere l’iniziativa come se fosse una “cambio di passo” rispetto a quanto si è fatto finora.
Ma, al di là, di questi aspetti formali (che poi formali non sono), è necessario evidenziare quelli di maggiore carattere politico (che pure non mancano ai primi).
- Il documento del Piano ha una forte valenza politica: non a caso interviene dopo una serie di provvedimenti (tra cui spiccano quello disastroso – ma qui magnificato – sulla patente a crediti, il Decreto Legislativo 12 luglio 2024, n. 103 e il “decreto lavoro”) che sono stati avviati da quella brutta legge n. 215 del 17 dicembre 2021, anch’essa qui trionfalmente citata, tutti ben finalizzati a determinare un “cambio” nella gestione della prevenzione pubblica in SSL, fondato sulla nuova centralità dell’INL e sulla marginalizzazione delle ASL-Regioni. Se il cambio è rappresentato dalle semplificazioni dei controlli, dalle patenti a punti, dallo svuotamento burocratico di interventi a carattere preventivo …
- Il Piano testimonia ulteriormente della volontà di “sostituire” il sistema prevenzionistico nato dalla L. 833/78 con quello nuovo (o vecchio, se si pensa a questo processo come la realizzazione di una vendetta rispetto alla espropriazione dell’IL di allora) incentrato sul Ministero del Lavoro e sul suo rinvigorito Ispettorato Nazionale del Lavoro. Anzi, di questo processo, il Piano rappresenta un chiaro “manifesto”.
- Non ci siamo mai tirati indietro quando era necessario criticare e pungolare il sistema SSN- Regioni, particolarmente a fronte del suo progressivo indebolimento e smarrimento, ed è indubitabile che il sistema mantenga – pur dentro ad una storia ultraquarantennale di risultati complessivamente positivi e spesso eccellenti – alcuni limiti, alcuni dei quali legati proprio a quella disparità interregionale che il progetto di Autonomia Regionale Differenziata di certo incrementerà. Ma qui, senza alcuna (pubblica) analisi di cosa funzioni e cosa no, viene condotta un’operazione di progressiva esclusione del SSN dalla materia e questo senza che alcun soggetto Istituzionale se ne preoccupi, a partire dal Ministero alla Salute, alle Regioni alle stesse direzioni delle ASL e con l’indifferenza e la connivenza di altri soggetti sociali.
- È sempre più chiara la strategia in atto: le leve della gestione della SSL nazionale, già salde in mano al Ministero del Lavoro, agiscono attraverso INL, da una parte, e INAIL, dall’altro, trattando il sistema ASL-Regioni come elemento esterno e collaterale. Che il “Piano integrato” integri di fatto solo INL e INAIL testimonia della divaricazione scelta. Qualcuno dovrebbe spiegare – al di là degli slogan – in quale modo questo dovrebbe giovare al complesso della prevenzione pubblica, ad una “Italia più giusta e sicura” e soprattutto alla salute di chi lavora ed anche alle imprese. Siamo ancora convinti che per questo (e non certo per una difesa di recinti istituzionali) la prevenzione in materia SSL debba avere una forte collocazione dentro il Servizio Sanitario Nazionale e che, quindi, il SSN debba mantenere un ruolo fondamentale e forte anche (e forse soprattutto) in un sistema “duplice” come quello delineato dalla L. 215/21.
- Tutto questo potrebbe essere letto nell’ambito dei risentimenti politici e delle gelosie istituzionali, se non avesse come oggetto la salute dei cittadini e dei lavoratori. E qui, gli artefici di queste scelte (alcuni dei quali collocati in governi precedenti) dovrebbero convincere – non tanto noi che siamo notoriamente dissidenti – ma i soggetti interessati e la società civile che quanto viene fatto ha come fine vero il miglioramento della prevenzione e l’utilizzo saggio e corretto delle risorse pubbliche.
- Dovrebbero spiegare, tra l’altro:
– in cosa consista la “novità” introdotta da questo Piano che ricicla iniziative, progetti e programmi già presenti negli enti interessati e che nulla aggiungono al sistema in termini di quella “innovazione” di cui avrebbe sicuro bisogno anche a fronte dei veloci e profondi mutamenti in atto;
– quali siano i risultati attesi del Piano e come si pensi di misurarli;
– perché l’integrazione, sbandierata nel titolo di questo Piano e promessa da decenni, riguardi solo due degli enti competenti lasciando, quindi, irrisolta la questione per l’ennesima volta;
– per quale motivo la costruzione del Piano abbia saltato tutti i livelli di condivisione (istituzioni, parti sociali) previsti anche dalle normative e vieppiù ritenuti decisivi ai fini anche dei loro risultati;
– in quale modo il Piano si “integri” con le numerose iniziative che il PNP 2020-25 sta realizzando e quali garanzie ci siano che non ci realizzino invece interferenze o sovrapposizioni;
– quale sia il vantaggio in termini di efficienza ma anche di efficacia di questo duplice e sempre più divaricato sistema di Prevenzione SSL.
Gabriella Galli, parlandone per prima il 28 dicembre scorso su Repertorio Salute, aveva lanciato l’ironica domanda: cambio di marcia o solo un nuovo colpo di scena? È ovvio che propendiamo per la seconda ipotesi, assomigliando questo ad altri inutili interventi di propaganda del Governo: consideriamo il Piano un pacco vuoto di novità ma pieno di insidie, che meritano di essere svelate e fronteggiate.
Quello che avviene nella tutela della SSL – e non solo a livello istituzionale – è parte integrante di quello sta accadendo a carico della salute di tutti cittadini e che diventa sempre più intollerabile: vorremmo poter mettere insieme le forze e le idee di chi ritiene che non si possa più rimanere a guardare.